lunedì 26 gennaio 2009

VERSO IL FEDERALISMO, MA ORA AIUTIAMO I COMUNI

(il mio editoriale su La Tribuna di Treviso)


La prima cosa che appare evidente, dopo il “sì” del Senato, è che quasi 20 anni dall’inizio di un vero dibattito sulla questione ha finalmente vinto il federalismo.
Ha vinto il federalismo perché, come hanno fatto notare molti osservatori e commentatori, le astensioni e anche i voti contrari sono riferiti ad alcuni contenuti del decreto, condivisibili o meno. Ma nei fatti, che sia perché nessuno vuole mettersi a remare in direzione opposta all’opinione pubblica, nella stragrande maggioranza federalista, o per vera convinzione, resta il fatto che tutti i partiti politici italiani riconoscono che il vero riformismo oggi passa per una valorizzazione concreta delle autonomie locali. Questo è infatti l’unico modo di governare con efficienza, e nell’interesse della società, un Paese che non è diviso ma che è indubbiamente diverso, quindi con caratteristiche e bisogni molti distinti tra le diverse aree.
E’ poi importante mettere l’accento sul lavoro politico condotto dalla Lega. Il Carroccio ha imparato bene la severa lezione del referendum sulla Devolution. Ed è stato il soggetto che ha trascinato tutta la maggioranza verso una posizione responsabile e giusta: fare le riforme discutendo sul serio con l’opposizione. Non per trovare una vuota unanimità, ma per cercare dialogo e convergenze, che sono gli ingredienti di una riforma costituzionale degna di questo nome.
Ora, però, restano da definire due questioni.
La prima: in effetti il governo, e in particolare il ministro Tremonti, devono dare alle regole del federalismo fiscale, di per sé condivisibili, un contenuto di numeri. Non è in discussione se riformare in senso federalista, ma il senso di responsabilità, soprattutto in questa fase molto delicata per la tenuta dei conti dello Stato e delle famiglie, impone un principio di cautela per cui la dichiarata intenzione di non aumentare la pressione fiscale per effetto della riforma deve essere dimostrata con i fatti. Ci sono 7 anni per la piena entrata a regime, un anno per il sì definito al decreto di legge, 24 mesi per tutti i decreti delegati. C’è insomma il tempo, sapendo con buona approssimazione qual è il quadro dei conti, per spalmare la riforma e fare sì che davvero si producano risparmi e miglioramenti e non un aumento della pressione fiscale e una moltiplicazione pericolosa dei centri di spesa.
La seconda è che in attesa che tutto questa prenda corpo, resta l’emergenza degli enti locali.
Ora: se l’impianto federalista è condiviso, ci si deve comportare di conseguenza. Questo significa che, a maggior ragione in presenza della crisi e sapendo che questa avrà effetti sociali importanti, non possiamo lasciare soli gli enti locali.
Cioè quei comuni e quelle province che, con questo patto di stabilità, hanno soldi che non possono spendere e che in realtà avrebbero invece il bisogno di destinare ad una serie di provvedimenti importanti.
La coerenza federalista ci dice che il patto di stabilità non può essere un modo di far finanziare alle autonomie locali il deficit dello Stato. La coerenza federalista impone di affrontare il problema dei comuni virtuosi e di smetterla di fare regali ai cialtroni della finanza locale. E’ al Comune di Treviso, ad esempio, che ha milioni di euro fermi e inutilizzabili, che il ministro Tremonti deve spiegare come svolgere le competenze proprie dell’amministrazione comunale se non ci sono le risorse per farlo. A Catania la risposta la si è già data: si sono presi 140 milioni di tutti, anche nostri, e si è ripianato il buco.
Ultima osservazione. Lo stesso testo approvato dal Senato parla di compartecipazione di una quota dell’Irpef e dell’Iva. Quindi la richiesta dei sindaci di compartecipare subito al 20% dell’Irpef non è al di fuori dello schema che si vuole applicare. Può essere, come è stato detto, una misura transitoria. Non è il 20%? Tremonti ci dica a quanto si può arrivare. Non è la compartecipazione dell’Irpef? Lo stesso ministro dica cosa altro si può fare. Lo dica all’assessore Zugno, responsabile del bilancio di un Comune virtuoso, perché agli spreconi – Catania e Roma insegnano – abbiamo già dato.
La palla, ancora una volta, passa alla Lega, che è stata il più strenuo oppositore del movimento dei Sindaci. Ha vinto la sua battaglia: ha portato a casa il federalismo, è riuscita persino ad ottenere l’astensione del maggiore partito di opposizione. Ora dissotterri l’ascia di guerra: si metta via il “no” strumentale, e tutto politico, al movimento dei sindaci. E si assuma il compito di contribuire ad una soluzione, magari temporanea, ma che in questo momento è l’unica che può consentire ai Comuni di fare il loro lavoro, senza essere costretti allo sforamento del Patto di Stabilità, e la relativa confusione e instabilità istituzionale che verrebbe pagata, salatissima, non dai partiti e dai sindaci, ma dalle nostre comunità.

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