venerdì 27 febbraio 2009

DOMANI A TREVISO RACCOLTA DI FIRME PER IL 20% DELL'IRPEF AI COMUNI

(comunicato stampa di oggi)


“Sosteniamo la proposta per una legge che destini il 20% dell’Irpef ai Comuni, come provvedimento federalista necessario e urgente per far continuare a lavorare i nostri Sindaci”.
Lo ha detto il capogruppo in Consiglio Comunale a Treviso del di “Per Treviso – Udc” Paolo Camolei, annunciando l’iniziativa del gruppo che, domani, raccoglierà firme a supporto della riforma veramente federalista del fisco, sostenuta dal cosiddetto movimento dei Sindaci del 20%.
Dalle ore 8,30 alle 13, in collaborazione con segreteria provinciale di Treviso dell’Unione di Centro, verranno allestiti un gazebo e un banchetto presso la parte esterna della Porta S. Tommaso.
“Il finanziamento dei bilanci dei Comuni è una questione attualissima – ha detto Camolei –tra oggi e l’approvazione della riforma federalista votata al Senato può passare un tempo anche molto lungo, mentre le amministrazioni comunali hanno bisogno di finanziamenti certi ed adeguati adesso. Chi vuole il federalismo sta dalla parte dei nostri Sindaci, la raccolta di firme è fondamentale per convincere la politica riluttante ad affrontare e sciogliere questo nodo subito”.
Nell’occasione, il gruppo di “Per Treviso-Udc” raccoglierà anche firme a sostegno del progetto di riforma dello statuto del Comune di Treviso, per l’introduzione, tra gli strumenti di democrazia diretta, delle Delibere di iniziativa popolare.
“Per noi questo sarebbe un passo fondamentale per aumentare la partecipazione della popolazione al buon governo della città, riavvicinando la gente alla politica attraverso una maggiore responsabilizzazione”.

lunedì 23 febbraio 2009

«A Firenze votare Renzi è possibile Pd, dopo le Europee qualcosa avverrà»


intervista a Pierferdinando Casini pubblicata oggi dal Corriere della Sera

Pier Ferdinando Casini non ha fretta. Lui sta già al centro e «gli altri stanno capendo», anzi qualcuno «ha già capito». Arriveranno. Ma perché forzare i tempi? «Il Pd con Franceschini ha fatto la sua scelta», si sta spostando più a sinistra, e «le europee saranno lo spartiacque: allora si capiranno quali sono i rapporti di forza». E le decisioni saranno più facili. Ma l'appello per i cattolici è pressante: «Lontano dal centro rischiano di essere irrilevanti ». Perché non hanno spazio i temi «che più contano». E cioè la difesa della vita, che sia il testamento biologico o la salute degli immigrati. In altre parole: i vari Francesco Rutelli, Enrico Letta, insieme a teodem di varia origine e ispirazione, forse anche qualche ex popolare, sanno bene che, al momento opportuno, saranno accolti con tutti gli onori nel progetto centrista, avviato dall'Udc con l'autonomia da Berlusconi alle ultime Politiche. Nel frattempo, via libera ad altre alleanze locali con il Pd «che ragiona», tipo quella del Trentino attorno a Dellai: «A Firenze, con Matteo Renzi, è possibile».
Cosa cambia con l'arrivo di Franceschini alla testa del Pd?
«È un carissimo amico e compagno di vecchie battaglie. Basta ricordare che mi aiutò ad entrare in Parlamento a 27 anni facendo campagna per me a Ferrara contro Nino Cristofori. Gli faccio i miei migliori auguri. Detto questo il suo discorso all'Assemblea del Pd è tutt'altro che entusiasmante: con la collocazione nel gruppo socialista europeo e una posizione sul testamento biologico vicina a quella di Ignazio Marino sembra essere condizionato dalla sinistra e da Di Pietro».
O da D'Alema che gli chiedeva «contenuti» di sinistra?
«Mi interessano poco le dinamiche interne al Pd, ma se nel rapporto con i sindacati si preferisce la piazza della Cgil alla concertazione della Cisl e sulla riforma della giustizia si sta con Di Pietro e non con Violante, allora il dialogo diventa difficile ».
E così diventano più difficili anche le alleanze a livello locale, tipo quella con Dellai in Trentino?
«Nient'affatto. Se ci sarà la possibilità di alleanze positive, come quella di Dellai, le faremo. Faccio due esempi. È fuori strada il sindaco di Bari, Emiliano, che parla di alleanze con noi e al tempo stesso con Rifondazione. Con Matteo Renzi a Firenze, invece, è tutto un altro discorso: al momento abbiamo un nostro candidato, appoggiato da una lista civica, ma se Renzi avesse coraggio di completare la sua svolta si potrebbe ragionare... ».
Fabrizio Cicchitto, invece, rilancia l'alleanza con il Pdl.
«Cicchitto ha fatto un discorso serio. Ma dimentica che la scelta preferenziale del Pdl alle ultime Politiche verso la Lega ha avuto conseguenze. Non sarebbe serio sottovalutarle, né per noi, né per loro».
Nel convegno di Todi, che si è concluso sabato, c'erano autorevoli esponenti del Pdl, come la Poli Bortone, e del Pd, come Rutelli e Letta. Si tratta di grandi manovre al centro?
«Sono persone che concordano sul fatto che il bipartitismo è un'illusione. Come anche l'omogeneità interna dei due principali partiti è una chimera: lo si è visto in modo chiaro sui temi eticamente sensibili. E pensare che sia Berlusconi che Veltroni hanno esplicitamente sostenuto in campagna elettorale che certi argomenti dovevano essere lasciati alla coscienza individuale e non ai partiti».
Non a caso gli esponenti del Pd che stavano a Todi erano gli stessi che avevano espresso posizioni vicine alle vostre sul diritto alla nutrizione e all'idratazione di fronte al caso Englaro.
«I cattolici devono fare una riflessione. È più importante l'appartenenza ad uno schieramento o la propria coscienza? E ancora: finita l'unità politica dei cattolici siamo più rilevanti o meno?».
Occorre quindi che i cattolici riprendano presto a camminare insieme?
«Non c'è fretta, ma saranno i fatti ad accelerare il processo in corso. Il Paese è più avanti dei partiti, percepisce già che senza il centro non si governa in modo credibile. Si inseguono illusioni e si riproducono emozioni, non scelte di governo. Credo che nel Pd la linea di Franceschini non sarà indolore: qualcosa succederà dopo le Europee, che, con il sistema proporzionale e le preferenze, faranno emergere i reali rapporti di forza. Noi stiamo già gettando le basi per un grande partito nazionale. E, attenzione, non un semplice terzo polo, ma un partito con cultura e ambizioni di governo. Del resto non si riesce più a capire perché persone con la stessa sensibilità, come Rutelli e Letta e alcuni esponenti di Forza Italia, non stiano insieme, in particolare durante le intemperie che stiamo vivendo».
E se qualcuno arrivasse da voi prima delle Europee?
«Vedremo. Noi, ripeto, non abbiamo fretta: dobbiamo radicarci nel Paese e porre le premesse per governare, insomma per il dopo Berlusconi. Ma per vincerlo, se lo ricordi il Pd, è sbagliato demonizzarlo. Occorre invece contestarlo sui contenuti, dire che la polemica sulle ronde è fuori misura perché la soluzione è dare più mezzi alle forze dell'ordine e che anche agli immigrati irregolari non può essere preclusa la visita medica: il diritto alla vita non vale a giorni alterni. Inoltre la crisi economica e la necessità di essere uniti per affrontarla, evocata dalle forze più responsabili e moderne del Paese, potrebbe farci ritrovare insieme...

Casini rilancia al centro: «Verso il partito della Nazione"

TODI - Il terremoto nel Pd apre nuovi varchi all'ipotesi di un centro moderato. Pier Ferdinando Casini lo sa e mette di fronte all'Udc l'obiettivo di una nuova formazione politica di cui si è parlato a Todi, al seminario della Fondazione Liberal. C'è già anche indea di nome, o quantomeno di ispirazioen: il partito della nazione. «La terza Repubblica - dice Casini chiudendo il convegno- nasce all'insegna dell'unitá della nazione e il progetto del partito della nazione nasce all'insegna della soluzione dei problemi del Paese fuori dalla demonizzazione dell'avversario». Che, dice, aiuta Berlusconi: «Oggi i più grandi alleati di Berlusconi sono Di Pietro e Travaglio, che consentono a Berlusconi di non rispondere ai cittadini che non arrivano a fine mese, mentre noi dobbiamo chiedere a Berlusconi di portare agli italiani il suo rendiconto di metá legislatura sulle cose concrete. Dobbiamo fare il partito della nazione. questa è l'espressione che a me piace, in un Paese che deve recuperare il senso identitario del proprio cammino»

OLTRE IL BIPARTITISMO - Al di là deelle definizioni, a cosa punta Casini? A raccogliere una fetta di eventuali fuoriusciti del Pd? Spiega: non sarà una nuova «Margherita» e neanche un centro che abbia un percorso predeterminato con uno «strabismo a sinistra», ma un progetto «alto» all'insegna dell'unità della Nazione e nel suo esclusivo interesse. Ma in concreto? Il primo obbiettivo è smontare il bipartitismo. «Il principale errore di Veltroni- dice - a cui non sono attribuibili tutti gli errori del Pd, è stato quello di accettare di essere il contraddittore di comodo di Berlusconi che ha una potenza di fuoco senza eguali». Casini ammonisce: «Il bipartitismo senza partiti, e lo testimonia in queste ore il Pd, è finito con l'errore di credere che la sommatoria di forze possa costituirne l'identità. E invece l'identità ci vuole e non bisogna rinnegarla, insieme alle proprie radici 'che non sono un impicciò». Quindi punta anche al Pdl, dove immagina che un dopo berlusconi apra enormi crepe nell'unità apparente di oggi. «Le contraddizioni ci sono e s'incaricheranno le intemperie politiche di farle emergere». L'obiettivo è puntato anche verso imprese e associazionismo. Il richiamo di Montezemolo «è il nostro - dice Casini - mettere al centro i problemi dell'Italia vera variabile politica è anche il nostro richiamo».

venerdì 20 febbraio 2009

LE REGOLE DEL CONSIGLIO COMUNALE


Ai cittadini presenti all’ultimo consiglio comunale, che si attendevano, come era nei programmi, una seduta tematica su questioni importanti per la città, è stato offerto purtroppo uno spettacolo penoso.
Non solo se ne sono andati con un pugno di mosche, considerato che di risposte non ne hanno praticamente ricevute, ma soprattutto hanno lasciato Palazzo dei Trecento con l’idea di una politica locale di serie C, capace solo di esaltarsi nella gazzarra. Cioè lo scontro, vivacissimo, tra presidenza del consiglio e minoranza su una serie di questioni procedurali che meritano un attimo di riflessione.
Se si riesce a scannarsi in quella maniera per l’interpretazione delle regole è perché lo Statuto, in molti punti, non è chiaro. Questo è penalizzante per i lavori dell’assemblea e anche per le responsabilità che il consiglio deve assumersi.
Viene allora da chiedersi se questo, alla luce di fatti e atti che tendono a ripetersi, non debba essere il mandato amministrativo in cui Giunta, Presidenza del Consiglio e Consiglio Comunale, si assumano l’onere di affrontare una riforma dello Statuto stesso. O quantomeno avviare una discussione sul merito, che ci porti fuori dalle secche in cui ci costringono da un lato il piglio del Presidente Salvadori e dall’altro le “pretese” che vengono dall’opposizione.
Se questo non fosse il caso, cioè se lo Statuto è invece perfettamente leggibile e interpretabile, ai cittadini è giusto far sapere se è tra i banchi della minoranza o nello scranno della Presidenza che vive e si agita la non conoscenza delle regole o, peggio, il tentativo di imbrogliare le carte per portare acqua a questo o a quel mulino.
Con tutte le materie importanti di cui l’ultimo consiglio comunale doveva occuparsi, e tra queste credo che il nodo del doppio canone fognario e del decreto-truffa votato al Senato fosse di grande rilevanza, il parlamentino della città ha finito invece per spargere sangue, in un vergognoso clima da baruffa, su nodi procedurali. E’ una caduta che non deve ripetersi.
Non è della politica introflessa in se stessa che la città e i trevigiani hanno bisogno, sempre che non si voglia la cosiddetta società civile sempre più lontana, indifferente se non infastidita dai modi che la politica stessa esprime. Quella della maggioranza, che a congelare il consiglio, riducendolo ad notaio delle scelte della giunta, e quella dell’opposizione, una parte se non tutta, che oggi pare tentata di giocarsi la carta dello scontro personale con il Presidente del Consiglio.
Questi affari di bottega non sono a costo zero. Li pagano i cittadini. Li pagano quelli che si sono costituiti in una cooperativa per costruirsi la casa e che adesso rischiano i loro soldi. Quelli preoccupati delle condizioni dell’aria in città, che è sempre peggio, e che si ritroveranno un buco in mezzo al centro che attrarrà ancora più traffico di quanto già non ne circoli. E quelli presi in giro due volte: prima con una tassa che non dovevano pagare e che adesso chissà come potranno farsi restituire, poi con il colpo di mano che ha fatto rientrare dalla finestra del Senato quello che era uscito dalla porta della Corte Costituzionale.
La posta in gioco, se mai interessasse a qualcuno, è alta: un altro consiglio comunale come l’ultimo, un’altra gazzarra sulle regole, che la colpa sia dell’opposizione, della maggioranza o del Presidente del consiglio non importa, sarebbe come mettere il sigillo sulla dichiarazione di fallimento del Consiglio stesso.

venerdì 13 febbraio 2009

IL MIO COMUNICATO STAMPA DI OGGI SUL DECRETO RELATIVO ALLA RESTITUZIONE DEL DOPPIO CANONE FOGNARIO


“Il decreto sul doppio canone è una beffa, ci trattano da sudditi deficienti”

“Ma che Stato è quello che ti fa pagare una tassa ingiusta, te la restituisce con il contagocce e si trattiene anche una parte per finanziare nuovi interventi? Ma cosa contano i cittadini? Un bel niente”.
Paolo Camolei, capogruppo di “Per Treviso – Udc” ha commentato così l’approvazione, in Senato, del decreto che spalma in cinque anni i rimborsi per il doppio canone fognario e che prevede anche la possibilità per le amministrazioni comunali di trattenerne una parte per nuove opere di realizzazione della rete fognaria.
“Una vera e propria una tantum, una tassa di scopo camuffata. Ma soprattutto una ingiustizia. Quella tassa non doveva essere pagata, lo ha detto la Corte Costituzionale. Ma in Italia la legalità vale una beffa: fatta la legge, trovato l’inganno. Così i cittadini di Treviso si scoprono cornuti e pure bastonati, mentre il governo si prepara all’elargizione di 200 milioni a Palermo. Ma la Lega dov’è? Bastano un paio di ministri per non riconoscere più il profilo opprimente e vessatorio di uno Stato che tratta di cittadini da sudditi deficienti?”.
“Ancora una volta dobbiamo piegare la testa, pagare e tacere. Comprendiamo il problema finanziario legato ai rimborsi, ma potevano pensarci prima: il doppio canone fognario è materia controversa da anni, non è una scoperta di ieri. Chi è andato in campagna elettorale, a livello nazionale o locale, dicendo che non avrebbe messo le mani delle tasche della gente, raccontava balle. E’ gente che dovrebbe chiedere scusa e dimettersi”.

ELUANA, DOPPIA INVASIONE (il mio editoriale di oggi su La Tribuna di Treviso)

Il caso di Eluana Englaro è il segno, comunque la si pensi, di una doppia, pesantissima invasione di campo sulla vita. Una entrata con il piede a martello, si direbbe nel linguaggio calcistico, compiuta da un lato dalla scienza, dall’altro dalla politica.
Il progresso della medicina e delle conoscenze tecnologiche è certamente un fatto positivo; oggi sono guaribili malattie che non lo erano 20 anni fa. Ci sono situazioni di grande gravità a cui si può porre rimedio. E’ possibile, evidentemente, dare più speranza alla vita. Il rischio è però anche quello di creare delle figure intermedie, di essere umano e di vita stessa. Senza rispondere alla domanda: ma che cosa è davvero la vita, e soprattutto la vita umana?
La questione morale che ha che fare con questa vicenda e le tante altre simili, di cui poco o nulla si parla e si dice, è delicata e il tema merita una discussione scientifica ma anche tanto umana. Perché è giusto applicarsi e battersi quando c’è speranza; ma di fronte ad un destino fatale e certo, senza possibilità di tornare indietro, quando la vita è la finzione che ci inventiamo per consolarci di un corpo inanimato, la scelta di una “non sofferenza” è e resta una scelta, e non merita di essere degradata, a mo’ di insulto morale, a suicidio o eutanasia.
Comunque la si pensi, sono temi delicatissimi che chiedono l’applicazione dell’intelligenza, non del cinismo. E qui arriviamo alla seconda invasione di campo: quello della politica.
Come cittadino, come uomo qualunque, mi sento francamente disorientato, turbato e confuso dal modo con cui la politica si è impadronita della vicenda di Eluana Englaro. Se ne è impadronita non per assolvere al ruolo di regolatore, in nome e per conto della società, delle vicende umane, ma per declinarla al modo della politica italiana di questi tempi: il modo peggiore.
Sono mesi che in parlamento giace un progetto di legge sul cosiddetto testamento biologico. Evidentemente i sondaggi dicevano però che non era una questione che stava in testa alla lista delle priorità dell’elettore-consumatore. Quindi la questione è stata lasciata lì. Poi, d’improvviso, quando il “fatto” è divenuto di straordinaria e terribile attualità, ecco scattare una gara, tutta elettorale e tristemente bipartisan, a raccattare voti. Ne è venuto fuori un pasticcio istituzionale indegno di un paese democratico e liberale del primo mondo.
Ora penso sia quasi impossibile che questo Parlamento, in queste condizioni, possa partorire una buona legge sul fine vita. Il buon senso, da una parte e dall’altra degli schieramenti, è in minoranza. Prevale invece l’opportunismo di fare di ogni occasione quella buona per imporre la politica che oggi piace fare di più: quella della rottura, del muro contro muro, gli appelli al “con me o contro di me”. La politica della costituzione da cambiare a piacimento come si trattasse di un paio di mutande, del facile e ridicolo allarme sul golpe, delle emozioni private ostentate pubblicamente per far quadrare il calcolo delle convenienze.
Non stupiamoci: abbiamo voluto la politica del candidato, perché i partiti erano un male. Eccoci serviti: oggi non si mettono al confronto le idee, ma l’appeal personale del candidato, del segretario di partito, del premier come del leader dell’opposizione. Ne viene fuori una baruffa tra aspiranti “prime donne”, più simili, a dire il vero, a galline che si contendono i favori del gallo elettore.
Per non passare da gallo a pollo, il cittadino oggi è chiamato ad uno sforzo di memoria, che dovrà essere anche sforzo di informazione ed educazione per i più giovani. Per non cadere nell’inganno, mentre fuori infurierà la tempesta con toni da crociata, dobbiamo aggrapparci a quelle stagioni di grande passione che coincisero con le battaglie, accese ma civili, su divorzio e aborto. Erano altri anni, ma erano temi che per i tempi dividevano e laceravano tanto quanto, se non di più, la questione del fine vita.
Era una contrapposizione aspra, ma istituzionalmente composta e rispettosa delle regole e della dignità dell’avversario.
Di tutto questo oggi non c’è più traccia. Per convincere non ci si affida più alla forza delle idee, ma al degrado delle parole. Vince chi insulta di più, chi urla di più. La ragione si misura sulla lunghezza di un articolo o di un servizio al tiggì.
Penso che la vicenda di Eluana avrebbe meritato di essere ricordata nell’intimità personale di ciascuno di noi per quello che è: una tragica e umana storia vita che ci pone di fronte a domande a cui non credo che riusciamo a dare facilmente risposta. Poteva, forse doveva, porre anche nella società una questione oramai attualissima che non può più essere evitata.
Purtroppo resterà impressa nella memoria di tanti di noi per essere stata l’ennesima occasione in cui la politica italiana ha fatto l’unica cosa che da tempo riesce a fare, cioè dare il dare il peggio di sé.

lunedì 9 febbraio 2009

MALATTIE CLANDESTINE

Verrebbe da dire che non è la poltrona di governatore del Veneto quella a cui Giancarlo Galan dovrebbe aspirare per il prossimo futuro. Rigore e buon senso, visione e strategia, forza della provocazione ma anche capacità di essere concreti andrebbero spesi meglio e, soprattutto, dove ne abbiamo più bisogno.

Al governo di Roma, per esempio. Più Galan e meno pasdaran, potrebbe essere lo slogan, visti e considerati alcuni capolavori normativi che la politica dell’apparenza, tutta spostata sulla forma e la propaganda più che sull’intelligenza, riesce a sfornare.

L’ultimo di questi prodigi è il decreto sicurezza. Soprattutto in due punti: usare i medici come maglia della rete di controllo contro i clandestini e legalizzare le ronde di cittadini a rafforzamento del presidio del territorio.

Sulla prima il giudizio più netto e più giusto lo ha espresso proprio Galan: andremo a creare malattie clandestine, ha detto il governatore. Ed ha centrato il problema: se un disperato che viene da un paese sottosviluppato, dove esistono malattie endemiche che da noi non ci sono mai state, o non ci sono più, viene a sapere che andando a curarsi rischia di essere rispedito a casa (dove peraltro, e probabilmente, non lo curerebbero comunque) cosa pensate che farà? Se ne starà nascosto, ovviamente. Si terrà la malattia e così, forse, la diffonderà pure.

Possibile che a Roma non ci abbiano pensato? E’ possibile. Perché quello che conta non è l’efficacia del provvedimento in sé, ma apparire rigorosi e severi all’elettorato, alla gente spaventata. Essere più cattivi, se riferito agli immigrati, come ha auspicato, o forse solo anticipato, il ministro Maroni.

Tutto si può dire del governatore Galan, ma non che sia uno che strizza l’occhio alla clandestinità, che sia affetto da estremismo “terzomondista”, che non stia dalla parte di chi ha fatto del rigore, della necessità del rispetto del diritto e dell’affermazione intransigente della legalità valori fondamentali della politica.

Ma non è un irragionevole, né un pasdaran. Accuse invece che si possono muovere alla maggioranza a Roma, che con quel provvedimento ha compiuto un clamoroso autogol: spinge gli irregolari nel profondo della clandestinità, crea sacche di invisibili, persino irrintracciabili. Non solo senza patria, senza diritti, facili preda, purtroppo, anche di fenomeni di criminalità; ma anche potenziali e inconsapevoli untori.

Se la clandestinità è un problema, se non riusciamo ad opporre un muro all’esercito di disperati che non vogliamo far entrare in maniera disordinata ed illegale nel nostro paese, è evidente che la legge esistente , ed il suo sistema di controlli, hanno qualche cosa che non funziona. Questo sarebbe il vero nodo da sciogliere. Esporre la popolazione ai rischi di una caduta dei livelli minimi di sicurezza sanitaria è invece un gesto di grave irresponsabilità.

Ma non è finita qui. Perché il governo, nell’ansia di mostrare i muscoli del rigore e della fermezza, dopo aver spedito l’esercito nelle città adesso vuole arruolare anche le ronde di civili. Bella trovata: non vogliamo potenziare le forze dell’ordine, quindi mandiamo l’esercito a fare cose con cui l’esercito non c’entra nulla. E non potendo mettere più pattuglie per la strada, e dal momento che non possiamo proteggere i cittadini con carabinieri e polizia, chiediamo alla gente di proteggersi da sé. Non ci sono soldi, si dice. Certo, ma i cinque miliardi regalati a Gheddafi non stavano meglio nelle tasche del ministero dell’Interno per acquistare mezzi, arruolare personale, migliorare la rete dell’infrastruttura delegata al controllo dei nostri territori?

Al contrario, per mettere in sicurezza strade e vicoli della nostra città dovremo contare sui cittadini. E, piaccia o non piaccia ammetterlo, dovremo affidarci non al cittadino spaventato e volenteroso, ma a tanti Rambo locali con la testa calda.

Non c’è dubbio che contro i clandestini serva la mano ferma. Ed è fuori questione che serve più presidio del territorio, più capacità di controllo e prevenzione. Ma questi sono compiti da affidare a professionisti.

Ci sono due modi di affrontare queste questioni: le sparate pubblicitarie, che oramai sono il sale della politica italiana, o il buon senso. Il modo di Galan, o quello dei pasdaran. Peccato che a Roma abbiano scelto il secondo.

giovedì 5 febbraio 2009

ALTRO CHE SANTORO

Alle domande scomode di un giornalista americano, il ministro Tremonti risponde andandosene. 10+

(il link)
http://video.corriere.it?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=Dall%20Italia&vxClipId=2524_53eb8c0c-f387-11dd-a8aa-00144f02aabc&vxBitrate=300

mercoledì 4 febbraio 2009

PRIMA LA CASTA, POI LE FAMIGLIE


(il mio editoriale di oggi su La Tribuna di Treviso)

Sulla questione dei mancati, o in ritardo, finanziamenti pubblici alle scuole paritarie, sarà bene mettersi al riparo dal rischio di impantanarsi nella polemica “privata sì, privata no”, tenuta in piedi da quella disposizione costituzionale secondo cui in Italia esiste la libertà di educazione, e quindi anche di costituire scuole, purché senza oneri per lo Stato.
Farne una faccenda di rango costituzionale, un’altra bella baruffa tra “laicisti” e “clericali” (visto che il 60% delle scuole paritarie sono cattoliche) sposta il problema su un piano che non è sostanziale. Semmai il nodo sono le famiglie, la loro prosperità, i costi di cui devono sobbarcarsi, che crescono mentre cala il lavoro.
La sostanza, ad esempio, è che le scuole paritarie di primo grado, cioè gli asili, ospitano la maggior parte dei bambini che frequentano le materne: 7 su 10, per l’esattezza. La ragione è semplice: lo Stato gli asili non li fa! Per questo grado dell’istruzione, insomma, la libertà di scelta di fra pubblico e privato praticamente non esiste. E’ una questione in sé? Io penso di sì.
Nel 2000 il governo D’Alema regolamentò le scuole paritarie, fissando i criteri perché potessero dirsi tali e quindi fare parte a pieno titolo, con quelle statali, del sistema nazionale di istruzione. Siccome ne venne riconosciuta la funzione pubblica, fu anche articolato il complesso dei finanziamenti: 347 miliardi di lire, all’epoca, pari a 179 milioni di euro, di cui 280 miliardi di lire, quindi circa 140 milioni di euro, per le materne.
E’ un dato giuridicamente incontrovertibile, perché legge dello Stato, che le scuole paritarie, anche gli asili che sono quasi esclusivamente parrocchiali, fanno parte del nostro sistema della scuola e quindi sono degni di ricevere finanziamenti.
Il fatto che queste scuole oggi si trovino costrette ad aumentare perché non finanziate nei termini di legge le rette ha conseguenze dirette sui bilanci delle famiglie. E anche degli enti locali. Le prime, se chiamate alla compartecipazione della spesa o a sostenerla tutta sulla base dei criteri adottati per gli aiuti a chi ha redditi medio bassi, si vedranno scivolare via dalle tasche fino anche a 400 euro all’anno. I secondi dovranno aumentare la quota di contribuzione sostitutiva rispetto a quanto dovrebbero pagare i poveri o quasi poveri, che invece giustamente non pagano. Il saldo, in tempo di crisi nera per i bilanci delle famiglie, è negativo comunque la si veda.
Che poi gli aumenti delle rette dipendano dal fatto che lo Stato e le Regioni – i Comuni invece pagano – si “dimentichino” di onorare i finanziamenti previsti dalla legge, rende tutta questa vicenda ancora più sgradevole.
Il vero problema è che da noi, quando si parla di famiglia, non si riesce mai ad andare alla sostanza. Tanti paroloni ma poi si scopre che ad assegni famigliari, nella Ue, ci battono tutti; cha a sgravi fiscali, sempre nell’Unione, stiamo sopra solo a Grecia e Portogallo. E anche nel sostegno alle scuole “paritarie”, anche le superiori, siamo superati di gran lunga da Portogallo, Spagna, Gran Bretagna, Germania, Francia, Austria e Svezia. Allegria!
A qualcuno interessa che le famiglie, a causa dei problemi economici provocati dallo Stato – a causa dei tagli – dovranno pagare di più per mandare i figli a scuola? Non mi pare. Prepariamoci allora all’ l’ennesimo balzello in più, malgrado le paritarie svolgono un ruolo fondamentale ed eroghino formazione e educazione ad una platea di bambini e ragazzi che, se si riversassero sulle statali, costerebbero all’erario sei miliardi in più di spesa scolastica all’anno.
Non si può non dare ragione a Don Carlo Velluto, coordinatore delle scuole materne paritarie di Treviso. Ma purtroppo noi e Don Carlo dobbiamo arrenderci all’evidenza: queste non sono priorità.
La politica ha altro per la testa: limitare le intercettazioni ai danni di chi delinque, fare accordi a voce bassa sulle leggi elettorali. E difendere, ostinatamente e in maniera trasversale, la casta.
Quanto ci costano le province, ad esempio, ce lo siamo già detti. Quanto utili (o inutili) siano lo sappiamo. Ma sono la cittadella di tante piccole, e locali, classi politiche e di potere e per questo il salvagente di cui godono, malgrado le sbandierate intenzioni di sopprimerle, è trasversale, bi e anche tripartisan.
Si possono eliminare posti di lavoro, aziende, si possono mortificare i precari bilanci famigliari, come ad esempio con la pistola puntata degli aumenti della spesa scolastica. Ma la casta, la nuova aristocrazia della democrazia decadente, se ne frega. E’ il riparo da tutto e da tutti. Governa per slogan, proclami e fa tante promesse. Il problema è che noi cittadini comuni, quelli più o meno ricchi come quelli più o meno poveri, ci caschiamo sempre.

Paolo Camolei

lunedì 2 febbraio 2009

LE PROVINCE, LA CASTA E IL PD (CHE FLIRTA CON LA LEGA)


Dice un mio amico: in Italia si possono cancellare posti di lavoro, diritti, libertà, ma non i privilegi della casta politica.
Ha ragione. E il motivo sta proprio in quella parola: casta. La casta non è una questione di centrodestra o centrosinistra, è trasversale. La casta è privilegi, è lavori politici e dati per ragione politiche. E’ l’insieme di tutte quelle classi di piccoli e grandi politici che affollano il parlamento, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane. Che si spartiscono le municipalizzate, le partecipate. Una malattia costosa per il cittadino, che si diffonde in tutto il corpo del Paese e finisce per controllarlo.
In questo orizzonte si colloca benissimo la difesa delle Province. Inutili organi elettivi, che potrebbero benissimo essere sostituiti da organizzazioni burocratiche, magari di controllo prefettizio. O semplicemente le si potrebbe cacellare, affidando i compiti di coordinamento alle Unioni dei Comuni. Meglio ancora se in un quadro in cui il numero dei Comuni venisse ridotto. Mica per tagliare, così a caso, ma per realizzare una razionalizzazione delle istituzioni locali. Come in economia, la dimensione conta. E più piccoli si è, meno si vale e meno si è efficaci.
Io non mi sono sorpreso per il voto di “sostegno” al documento Upi (praticamente un salvagente per le province) dato dal Pd in consiglio provinciale a Treviso. Se quello che raccontano è vero, ci sono serie e avviate trattative tra Lega e Pd per accordi elettorali alle prossime elezioni. In che forma non lo so, ma ultimamente questo cosa la raccontano anche i sassi. E allora perché dovrebbero farsi i dispettucci? Tanto, mica pagano loro. Paga pantalone, cioè noi. Paga pantalone e paga per niente. Per le province, inutili. Per mantenere un pezzo di casta. Ah, chissà se la Lega degli anni ’90, la forza che aveva portato fuori le sacrosante ragioni del Nord contro lo stato centralista e sprecone, sarebbe stata dalla parte della casta, o del popolo.