lunedì 21 dicembre 2009

NEVE E CAOS A TREVISO CITTA'

PER TREVISO-UDC

COMUNICATO STAMPA


“Neve & caos, fallimento politico di chi ha promesso le ronde e ha ridimensionato la macchina della sicurezza che serve davvero alla città di Treviso”


“Più che pensare alle dimissioni di qualche assessore, ritengo che la Giunta comunale debba riflettere su un fallimento, quello della macchina di pronto intervento contro gli effetti del maltempo, che è soprattutto un fallimento politico. La Lega riempie la testa dei trevigiani di fregnacce sulle ronde e svuota le strade dalla Protezione civile. Bel modello di sicurezza”.
Il gruppo consiliare di “Per Treviso-Udc” critica l’operato del Comune a seguito della nevicata che ha investito la città nel fine-settimana per bocca del suo capogruppo, Paolo Camolei.
“Alla prova dei fatti verifichiamo che la disorganizzazione ha vanificato il grande e generoso lavoro degli addetti, il cui numero, intorno al centinaio, è però troppo limitato per poter fronteggiare un evento di questa portata. Il punto è che certamente si è trattato di una nevicata straordinaria, ma era anche un fatto ampiamente previsto e atteso. La scarsità di uomini e mezzi e il fatto che l’allarme sia scattato solo alle 2 della mattina di sabato, cioè a precipitazioni in corso hanno fatto sì che una città del Nord di quasi centomila abitanti si sia non solo paralizzata, ma sia anche diventata una trappola ad alto rischio per pedoni e automobilisti a causa di una spessa coltre di ghiaccio non rimossa, in Centro come in periferia. I trevigiani sono stati lasciati in balia degli eventi”.
“Stupisce soprattutto l’insufficienza nell’azione della Protezione Civile, che era stata un punto di vanto della gestione Gentilini e il cui organico è stato recentemente ridimensionato. Forse in Giunta si pensa troppo alle ronde, peraltro solo annunciate, e poco alle cose concrete e ragionevoli. Se invece di sprecare tempo, energie e promesse su cose inutili, si prenda atto del fallimento a cui porta la politica delle promesse elettorali. Il caos provocato dalla nevicata è un richiamo ai leghisti affinché l’azione amministrativa ritrovi la concretezza di un tempo , ma è anche un monito ai tanti cittadini che si sono fatti ubriacare dalle storielle sulle ronde e la sicurezza fai-da-te e che nel momento del bisogno vero sono stati completamente dimenticati”.

Treviso, 21-12-2009

venerdì 18 dicembre 2009

LETTERA AGLI AMICI VENETI DEL POPOLO DELLA LIBERTA'


Cari amici veneti del popolo della Libertà,
l’accelerazione degli avvenimenti della politica regionale mete a nudo l’insoddisfazione del vostro elettorato, dei vostri simpatizzanti, di molti iscritti e militanti per la decisione di lasciare alla Lega la presidenza del Veneto e così, nei fatti, cancellare la stagione di governo di Giancarlo Galan.
Nei vostri siti, in quello dell’oramai ex governatore, nei gruppi dei social network, i commenti sono improntati a forte delusione e anche ad amarezza. E in molti “promettono” di non essere disposti a votare un candidato leghista.
Le scelte “romane”, in faccia a qualsivoglia considerazione della realtà locale, credo vi impongano una riflessione sulla natura della vostra alleanza con il Carroccio e sulla vostra stessa politica.
La Lega, lo sappiamo, ha avuto il merito di iscrivere il federalismo nell’agenda della politica. Lo ha fatto con una tale forza che oggi tutti si dicono federalisti. Ha avuto anche il merito di dare per prima rappresentanza sociale e politica a quei nuovi ceti produttivi che sono stati l’anima del miracolo economico, soprattutto a nord est, e che per lungo tempo erano stati snobbati, visti con fastidio e sospetto, dalla politica dei vecchi partiti della Prima Repubblica.
Non appena anche altre forze hanno cominciato a giocare su questo terreno, la Lega ha iniziato, per necessità, a differenziarsi. E oggi, dopo aver coltivato per lungo tempo le peggiori paure e pulsioni, la Lega si è di fatto trasformata in un partito di estrema destra, xenofobo, intollerante, illiberale, autoritario, per quanto con un forte tratto popolare.
Cari amici, è questa l’alternativa moderata, liberale e riformatrice che sognavate con l’entrata in campo di Silvio Berlusconi?
Il sogno era quello di un Paese che si modernizzasse, che mettesse merito ed efficienza come pilastri dell’attività della Pubblica amministrazione, l’onestà e la trasparenza a caposaldo della politica, che realizzasse quella rivoluzione liberale che è la rivoluzione della persona, della sua dignità e libertà, accumunando questo processo con un forte tratto di solidarietà vero, di welfare non al risparmio ma sostanziale. Diventare, insomma, un paese moderno e più europeo. Più giusto.
Oggi, cari amici, siete ostaggio della Lega e del suo consenso. Non voglio fare dietrologie sugli interessi personali del Presidente del Consiglio, anche se la questione esiste; e allora mi limito a dire che Berlusconi non ha il coraggio di lasciarsi dietro le spalle la Lega estremista e dare vita ad una forza liberale e popolare.
Essere ostaggio del Carroccio, cari amici, è costoso, soprattutto per il Paese. A voi forse serve l’appoggio della Lega per governare, ma governare non è tutto, se lo si fa a discapito della nostra nazione.
Il problema non è Berlusconi, ma un partito che ha scambiato l’ammirazione e il consenso per il suo leader per una sorta di vera e propria adorazione, un culto del capo quasi religioso. Ciò non fa del bene a Berlusconi, che invece si merita, anche se non lo volesse, un partito che discute, che suggerisce, che critica e propone. Né fa bene a voi, che vi chiudete in faccia la porta del futuro, perché un partito così, quando Berlusconi non ci sarà più, non avrebbe ragione di esistere.
Non vi invito alla ribellione, cari amici veneti del Pdl. Non sono nessuno per farlo né è mia intenzione. Ma serve, per il bene della politica, del Paese e di una prospettiva liberale, democratica e popolare, uno scatto di dignità e distacco nei confronti di una forza minoritaria che con spocchia e arroganza “sgoverna” per slogan, assecondando la pancia dell’elettorato senza nutrirne l’intelligenza.
Dal Veneto, non solo per il rischio di perdere potere ma per il gusto di non doversi continuamente turare il naso, abbassando la testa ai diktat dell’estremismo, deve venire una coraggiosa voce di dissenso. Dissenso produttivo e fecondo di dibattito e discussione, cose queste che fanno la democrazia.
Il punto non è il nome di Galan, ma la logica spartitoria, che sembra fatta apposta per far sostenere che Berlusconi farebbe di tutto, ma davvero di tutto, pur di conservare il potere a tutti i costi, con il solo fine di sistemare se stesso e i suoi guai con le procure.
Il sogno della rivoluzione liberale, cullato nel 1994 non è morto. Cari amici, adesso, però, tocca a voi.

mercoledì 16 dicembre 2009

UP PATRIOTS TO ARMS


Leggo su repubblica.it (http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/economia/crisi-44/bankitalia-16dic/bankitalia-16dic.html) che il 10% della popolazione italiana detiene il 44% della ricchezza nazionale. Come può un Paese così sperare di poter uscire dalla crisi e riprendere a prosperare, mentre, sempre nello stesso articolo, si spiega come per il rimanente 90% le condizioni economiche e di reddito siano in netto e continuo peggioramento?
Che fa quel 90% che deve farcela con il 56% della ricchezza nazionale? Si sveglia, si scuote, si batterà per se stesso? O Continuerà a formare una delega in bianco ad un governo che non pensa più alla gente, ma solo alle questioni personali del Presidente del Consiglio?

lunedì 14 dicembre 2009

IL DOVUTO E L'IMPOSSIBILE


C’è più di una maniera di leggere l’aggressione che ha avuto come vittima ieri il presidente del Consiglio. La prima è che si tratti di un fatto figlio della campagna di “odio” nei confronti di Silvio Berlusconi, un primo ministro che scambia le accuse di natura politica per un insulto personale, neanche lui fosse l’alfa e l’omega di tutto quello che esiste in Italia e di quello che l’Italia è.
L’altro è dire, semplicemente e con una spruzzata di buon senso, che il gesto isolato di una persona che non è evidentemente mosso da accanimento e odio politico ma da un malessere psicologico (magari Berlusconi gli stava antipatico, ma lo è anche a milioni di italiani che non si sognerebbero mai di prenderlo a pugni in faccia) e non descrive un clima.
Clima che non è di odio per Berlusconi, ma di tensione sì. Tensione per un Paese che non esce dalla crisi anche perché, va detto, governato da un premier che pensa a se stesso e ai suoi problemi giudiziari (e a come risoverli con una legge, non con un processo) dieci volte di più di quanto pensa ai problemi sociali ed economici.
Fare di un gesto folle e sconsiderato una tappa del processo di martirizzazione, beatificazione e santificazione del leader è una tentazione a cui che quelli del Pdl (e in parte della Lega) non sono riusciti a resistere. Scarso il livello di censura del gesto in quanto offesa prima ad una persona, poi anche ad una istituzione. Piuttosto prevale quel retrogusto di ceauseschismo, leaderismo venerante, adorazione paganeggiante, di uno, Silvio Berlusconi, che fa il presidente del Consiglio e miracoli non ne ha ancora compiuti, almeno non in pubblico.
Essere consapevoli che il clima in Italia è bruttino, che la tensione c’è ed è destinata ad aumentare anche per responsabilità di Berlusconi (lui e Di Pietro a me sembrano le due facce della stessa medaglia dialettica) è cosa importante. Senza dimenticare che al clima contribuisce anche l’isteria giudiziaria del nostro Primo Ministro, che a me piacerebbe vedere battersi con tanta foga anche contro i licenziamenti, le cassa integrazione ed il destino misero e miserabile a cui sono destinati tanti lavoratori precari e le loro famiglie.
Il gesto è grave e inqualificabile, violento e quindi spregevole. Di qui a chiedere l’armistizio politico verso un governo che non governa ma “sgoverna”, però, ce ne passa. A Silvio Berlusconi vanno, doverose, tutte le rappresentazioni di solidarietà umana e istituzionale, perché il gesto violento è una offesa alla sua dignità di uomo, prima che al suo ruolo. Ma l’aggressione non basta ad assolverlo dal fallimento della politica di questo governo ostaggio della demagogia della Lega. L’umana comprensione e vicinanza sono una cosa, la giustificazione per l’assenza dell’esecutivo dall’occuparsi del paese è un’altra. Le prime sono dovute, la seconda è impossibile.

lunedì 30 novembre 2009

CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELLA GESTIONE IDRICA (Il mio editoriale pubblicato sabato 28 novembre su "La Tribuna di Treviso"


Quello che sta succedendo ai cittadini di Povegliano, che hanno subito un aumento della bolletta idrica da parte del gestore che arriva al 50% rispetto a quanto si pagava prima, può essere considerato solo un antipasto del futuro che ci attende, in provincia di Treviso come nel resto dell’Italia.
E’ l’effetto della privatizzazione della gestione della distribuzione idrica previsto dall’art 15 del decreto Ronchi recentemente passato alla Camera e al Senato. In sostanza una tassa in più che verrà a pesare sui bilanci soprattutto delle famiglie, figlia di una decisione che, vista dal punto di vista dell’efficienza economica della gestione, fa, è proprio il caso di dirlo, acqua da tutte le parti.
Va innanzitutto spiegato ai cittadini che la motivazione che sta dietro a quell’art 15, che non riguarda solo l’acqua ma l’interezza dei servizi pubblici locali, è un imbroglio: il decreto impone infatti privatizzazioni e le giustifica come adeguamento a norme emanate dall’Unione Europea. Ma non è vero perché le due direttive europee in questione, la 92/50/CEE e la 93/38/CEE, si limitano a chiedere che vi sia concorrenza per i servizi pubblici nazionali e locali, ma escludono da logiche di mercato proprio il servizio idrico.
Persino la famigerata “direttiva Bolkestein” tiene fuori dalla libera circolazione dei servizi proprio quello idrico e affida ai singoli Stati membri il compito di stabilire quali siano i servizi “a interesse economico” e quali quelli “intrinsecamente non a scopo di lucro”. Per questi ultimi, ogni singolo Stato può sancire il divieto totale di apertura al mercato.
Quindi l’infornata di privatizzazioni decisa dal governo Berlusconi non è adeguamento all’Europa, ma la via tutta italiana di perseguire quegli obiettivi di efficienza legati alla concorrenza che l’Unione chiede.
Proprio la concorrenza, parlando di acqua, è il punto chiave di tutta la faccenda. La concorrenza nei servizi presume la possibilità per un utilizzatore di scegliere, nel libero mercato, l’offerta semplicemente più conveniente o che abbia il miglior rapporto prezzo-prestazioni. La risposta del mercato può essere l’efficienza, appunto attraverso la concorrenza, o il cartello, come già avvenuto nel caso delle assicurazioni e del mercato dei carburanti. E dal momento che il cartello turba i mercati, si tratta di una situazione che viene contrastata dai governi, anche se in Italia con molta debolezza.
La molteplicità dell’offerta, che è la spina dorsale di una privatizzazione che liberalizza, è qualche cosa che per quanto riguarda la distribuzione dell’acqua non può esistere, perché la gestione idrica è, tecnicamente, un monopolio naturale.
Di fatto, dunque, non si tratta di liberalizzazione e concorrenza, ma di mera privatizzazione. Se il cittadino non può scegliere a quale gestore affidarsi, come succede nel caso di gas, elettricità e telefono, l’acqua diventa un servizio in cui l’unico elemento di concorrenza si forma nell’offerta per ottenere, dalla proprietà pubblica, la gestione economica. Si presume che la scelta dovrebbe avvenire sulla base della tutela degli interessi diffusi, ma sappiamo che nel nostro paese contano di più le lobby e le loro buone pubbliche relazioni.
Quello che sta succedendo a Povegliano, già accaduto in altre parti d’Italia e in fase di sviluppo in tutta la nostra provincia, è una corsa dei prezzi legata all’assenza di meccanismi che regolino la formazione della tariffa. Questa assenza è confermata nell’art 15 del Decreto Ronchi, che sul punto è fumoso se non proprio reticente. Sarà quindi possibile, anche nella Marca, un caso come quello di Firenze: la gestione è privata e il Comune adotta una campagna per la riduzione dei consumi che viene seguita dai cittadini; siccome i consumi in effetti calano, il gestore privato, per non rimetterci, che ha fatto? Ha ovviamente aumentato la tariffa per metro cubo.
Altro fatto: i cittadini di Povegliano, come altri, pagano un conto che non tiene in considerazione solo la gestione del servizio, ma anche l’intervento sulla rete, che disperde molto. E questo perché nessun gestore privato si prenderebbe a carico un sistema in cui viene perso il 34% medio del prodotto da vendere. Quindi il cittadino prima paga la ristrutturazione della rete, poi si accolla la remunerazione che il privato vuole ottenere dalla sua attività.
Si capisce che questi meccanismi aprono un mercato oligopolistico, se non proprio monopolistico, in cui ci guadagnano tutti, ma non i cittadini consumatori.
L’Onu, nell’affrontare il tema dell’accesso all’acqua, che in molte aree del pianeta è ancora difficoltoso, considera come diritto umano inalienabile la disponibilità di almeno 20 litri di acqua garantiti al giorno mentre il contratto mondiale sull’acqua, discusso anche in sede Fao, ha tra i suoi principi proposti la disponibilità pro-capite di 40 litri al giorno come diritto umano e sociale, universale, indivisibile e imprescrittibile. Questi livelli andrebbero considerati dalla normativa per la gestione privatizzata in Italia come quantità garantita e non tariffata pro capite. Così come deve essere cancellata la possibile iniquità di una tariffazione legata al consumo, che faccia pagare di più alle famiglie rispetto ai singles e alle famiglie numerose rispetto a quelle senza figli.
La gestione idrica deve certamente essere più razionale ed efficiente, deve puntare su una responsabilizzazione del consumo e una sua riduzione. Ma la privatizzazione italiana, senza un ragionamento sui limiti di consumo garantiti in quanto diritto e sulle fasce e tipologie sociali che devono essere protette, finirà per trasformarsi solo in un ulteriore iniquo prelievo, altro che concorrenza..
Ultima annotazione: è curioso che un governo che sveltola la bandiera del federalismo marchiato con il “padroni a casa nostra” decida di imporre, dal centro alla periferia, i criteri di concorrenza nei servizi pubblici, quando secondo il principio della sussidiarietà, dovrebbe limitarsi a descrivere la cornice di adeguamento alle direttive Ue e lasciare libertà di azione alle autonomie locali. E’ una ulteriore dimostrazione che, in realtà, il federalismo che si rincorre è solo la bella copertina di una disegno in cui il centralismo di potere della partitocrazia e dei poteri forti rimane ben saldo al potere.

Paolo Camolei

LA PERESTROIKA NEL CENTRODESTRA


La distanza di Silvio Berlusconi dalla mafia si deve misurare sulla fiducia e sul consenso che gli resta (che è ancora alto) che sui fatti.
Si legge nell’Apocalisse (20, 12-14)che si verrà giudicati per le proprie opere. Aver mantenuto a libro paga uno stalliere casualmente affiliato (e che affiliazione) alla mafia che opera è?
Rimane, ovviamente, la buona fede. Quindi per questo inciampo Berlusconi, che era in buona fede, non verrà giudicato male. Resta ora ai giudici definire se sono vere le rivelazioni dei pentiti e quelle sconvolgenti notizie sulla responsabilità del capo della Pdl per le stragi che insanguinarono il nostro paese ad inizio degli anni ottanta.
E per fortuna che la procura di Firenze ha smentito i giornali (non quelli di sinistra, ma quelli del presidente del Consiglio) riguardo al possibile status di indagato suo e di dell’Utri.
Parto da questo, ultima sciagura mediatica del Silvio nazionale, per spiegare come, secondo me, le vicende personali e il modo di governare siano oggi strettamente legate, malgrado la distrazione del cosiddetto “popolo”.
C’è da chiedersi a chi importa del fatto che Berlusconi abbia o meno avuto rapporti/contatti con la mafia, tanto quanto mi chiedo a chi interessi che Brerlusconi abbia o meno corrotto, non pagato le tasse, imbrogliato le carte a proprio beneficio, pagato politici, piegato le leggi in favore delle sue aziende.
Verrebbe da dire pochi (gli interessati) visto che il consenso rimaner alto, cosa di cui si deve prendere nota.
Ora: io non auspico un colpo di magistratura. Spero sinceramente che Berlusconi sia, in effetti, innocente. Questo non vuol dire che mi iscrivo al partito di quelli che vorrebbero usare il lanciafiamme contro i giudici (il lanciafiamme è una citazione di tal Cesare Previti) anche se credo che i poteri dello Stato, oggi terribilmente in conflitto, debbano ritrovare – tutti - equilibrio e misura.
Semplicemente vorrei risparmiarmi la vergogna di aver avuto un capo del governo con la fedina penale potenzialmente lunga come i rotoloni regina.
Resta il fatto che Silvio Berlusconi fa poco o nulla per gettare trasparenze intorno alle sue vicende giudiziarie: e il modo di fare di questo governo, tutto proiettato a salvare il suo capo, a costo di funambolici equilibrismi e a tutto beneficio delle pretese della lega, sta penalizzando un paese che avrebbe bisogno di un esecutivo che pensi ai problemi della gente, non a quelli di un tycoon primo ministro assediato dalle procure (so che l’idea di Berlusconi che pensa per sé e non a noi riprende lo slogan dei manifesti del Pd: scusatemi, non volevo).
La questione non è se funziona meglio la destra o la sinistra: le pene di Berlusconi non bastano a legittimare il Pd come forza di governo capace, né i successi del Premier nelle aule giudiziarie (magari a colpi di prescrizione) non fanno necessariamente del bene alla destra costituzionale italiana, liberale e riformatrice, che rimane drammaticamente orfana o quasi di veri interpreti.
Ecco perché ho recentemente usato il termine “perestroika” per il centrodestra italiano: serve spaccare il regime, rimettere in piedi uno schieramento moderato “dal volto pubblico” e non solo con “pruriti privati”.
In un mio stato di Facebook, in cui parlavo di perestroika del centro destra, l’amico Nicola Marasciulo (amico di facebook) mi scrive che prima dovrebbe cadere Breznev, intuisco parli di Berlusconi. Sbagliato: non deve cadere il despota, deve sollevarsi il popolo moderato, chiamato a scrollarsi di dosso il peso oramai gravosissimo degli infiniti conflitti di interesse. L’amico (in carne e ossa) Arthur Carponi Schittar scrive invece che “devono cadere troppi muri perché succeda”. Beh: i muri non cadono da soli. Mano ai picconi, amici liberali: un altro moderatismo è possibile!

mercoledì 18 novembre 2009

LODO COSITUZIONALE E IMMUNITA' PARLAMENTARE, MENTRE LA CRISI SI DIVORA IL PAESE


Per uscire dal corto circuito giustizia-politica, e riparare i danni che questo scontro fra poteri sta causando ai cittadini italiani, si affacciano due soluzioni: una è il Lodo Alfano introdotto con una legge costituzionale, proposta fatta dal presidente dell’Udc Pierferdinando Casini; il secondo è entrato sulla bocca di tutti ma è stato reso esplicito in maniera interessante dal giudice Carlo Nordico, procuratore aggiunto a Venenzia, in una sua recente intervista e in un intervento pubblicato oggi su “Il Riformista”.
Entrambe mi sembrano soluzioni non corrette, in grado di ledere, il secondo più del primo, quella uguaglianza davanti alla legge che sta al fondamento del nostro ordinamento, configurando una “specialità” della politica così profonda da rendere il politico eletto sostanzialmente impermeabile all’azione di giustizia, e con il rischio di ripristinare meccanismi di casta.
Il Lodo Alfano in versione costituzionale punta ad uscire dalla fanghiglia del cosiddetto “processo breve”. La proposta di Casini vuole superare i dubbi che hanno portato alla bocciatura del primo Lodo da parte della Corte Costituzionale. Ma significherebbe iscrivere nella costituzione del nostro paese la regola dell’intangibilità delle alte cariche dello Stato non solo dai procedimenti che possono essere relativi a reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, ma da tutto quello che è perseguibile.
Domanda: falso in bilancio e corruzione sono fattispecie tali da rendere chi le ha commesse, se è una “alta carica dello Stato”, meritevole di una protezione così forte per la durata del suo ufficio?
La mia risposta è, per questi reati come per altri (il Lodo Alfano di fatto sana tutto), assolutamente no. Significherebbe far dire alla nostra costituzione che la legge è uguale per tutti ma ci sono alcuni che sono più uguali degli altri.
Alla responsabilità della carica, responsabilità che deriva dal fatto di avere un profilo personale e morale tale da meritarsela, si sostituirebbe il principio del “privilegio”, in un campo molto delicato come quello della giustizia.
Semmai, sarebbe da ipotizzare un meccanismo più articolato: immunità di principio per le alte cariche, giurì di nomina della Corte Costituzionale (o funzione esercitata dalla corte stessa) che valuti, in seduta dibattimentale pubblica, se il soggetto, rispetto alla fattispecie di reato di cui si parla, sia o meno meritevole delle specifica tutela in relazione all’assolvimento del suo ufficio.
Quanto all’immunità parlamentare, e al suo ripristino, ne ha parlato bene il giudice Nordio. Il procuratore aggiunto di Venezia ha definito il cosiddetto processo breve odioso “perche’ sottrae alla prescrizione alcuni tipi di reati, dall’immigrazione clandestina al furto di una bicicletta, che non sono certo più gravi della corruzione e del falso in bilancio”, definendone poi i connotati “funesti” perché si tratterebbe di una riforma “irrazionale”.
In una recente intervista, per dirsi favorevole alla reintroduzione dell’immunità parlamentare (anche come via d’uscita da soluzioni pasticciate come il processo breve), Nordio ha detto che “una metà scarsa degli italiani pensa che il presidente del Consiglio attacca i magistrati per sfuggire ai procedimenti che lo riguardano, una metà abbondante pensa che i magistrati lo vogliano processare per ragioni politiche, per riuscire a fare, nelle aule dei tribunali, quello che non si riesce invece a fare in cabina elettorale”. E ha aggiunto: “Possono essere vere entrambe, o nessuna delle due, il dato è che questi processi durano da 15 anni”. E si è detto favorevole all’immunità richiamando il principio, voluto dalla generazione politica da cui è nata la nostra Costituzione, per cui “la politica non deve essere aggredita da un altro potere dello stato”.
Al tempo in cui l’immunità parlamentare fu concepita si parlava ancora di democristiani, socialisti, comunisti e fascisti., Il clima politico era spesso esasperato, il rischio di un uso “di Stato” della giustizia contro gli oppositori ampiamente concreto.
Tutte cose che oggi non esistono più, semmai esiste il rischio di un controllo del potere esecutivo su quello giudiziario. Nordio sostiene, giustamente, che l’immunità esiste in altri Stati e che vale anche per i parlamentari europei. Verissimo. Il punto è che le deroghe giudiziarie della politica italiana, purtroppo molto frequenti, non si risolvono, di principio e di fatto, rendendo i parlamentari immuni dai processi per la durata della loro carica.
Il punto vero è che il nodo giustizia non riguarda il rapporto fra magistrati e politici, ma i cittadini, l’uguaglianza , la libertà e la difesa dei diritti. La questione giustizia non può risolversi con le scappatoie che il primo ministro deve trovare ai procedimenti che lo riguardano o il ripristino della condizione di privilegio “supra legem” dei parlamentari, ma i tempi del giudizio, che tolgono certezza del diritto, la responsabilità civile dei magistrati, la riforma di un sistema improntato all’obbligatorietà dell’azione penale, che porta i tribunali all’intasamento, salvo i miracolosi effetti condonatori della prescrizione.
Oggi invece la questione giustizia è affare privato del Premier e della casta degli eletti. Il Paese ha bisogno di essere condotto fuori dalla crisi, e invece rischia di infilarsi dentro alla crisi, di governo, magari proprio per la resa dei conti piediellina sui problemi giudiziari di Silvio Berlusconi.
Siamo un’Italia senza guida, un guscio di noce in mezzo al mare.

mercoledì 11 novembre 2009

IL DISASTRO DI VALLA' E GLI IMBROGLI DELLA LEGA


Perché i soldi a Messina, subito, e Vallà no, dopo sei mesi dalla tromba d’aria che ha sconvolto il Paese?
Seccherà ammetterlo, ma la verità potrebbe stare nella provocazione lanciata, qualche giorno fa, da Marco Travaglio ospite a Castelbrando: perché il Veneto, ha detto il giornalista, per la Pdl e soprattutto per la Lega, è un territorio politicamente acquisito. Morale: qui non c’è bisogno di mostrare nulla, qui non servono le telecamere delle televisioni di proprietà e di quelle controllate perché tanto a Vallà non c’è da cercare voti: sono già tutti presi.
Resta da chiedersi, e da chiedere, cosa ne pensino i cittadini di Vallà di questa provocazione di Travaglio. Chiedere se la condividano, se davvero pensino che la crociata anti-islam vale di più una casa scoperchiata che per la politica non esiste, se un capannone rovinato e una impresa al collasso contano meno di una ronda (mai partita, peraltro), se una legge assurda e ingiusta come quella sui respingimenti in mare degli immigrati irregolari sia elettoralmente più convincente di uno Stato che, nel momento del bisogno, non sa fare lo Stato e di un esecutivo che, di fronte ad una catastrofe naturale, non sa fare il suo dovere, o lo fa solo dove conviene.
Certo bisogna ammettere che Vallà non ha una lobby potente come quella della Pdl del sud, soprattutto di quella siciliana. In piena ebollizione del quadro politico la minaccia di ribellione della frangia sudista del partito del presidente del consiglio è una grana che merita tutti quei 60 milioni di euro arrivati praticamente subito, e per fortuna che sono arrivati, alle popolazioni messinesi. E bisogna rassegnarsi al fatto che i tre ministri veneti e la folta pattuglia dei nostri deputati e senatori. se non niente di sicuro conta meno degli esponenti siciliani del Popolo della Libertà. Loro sì che ci sanno fare, loro sì sanno toccare i tasti giusti. Il Veneto invece porta acqua gratis.
Fosse successo 15 anni fa, un disastro come quello di Vallà ed il trattamento vergognoso dello Stato che ha lasciato soli quei cittadini al loro destino sarebbe stato argomento buono per accendere la voglia di secessione. Ma quelli erano i tempi della Lega di lotta, non di governo; la Lega antisistema, fiera nemica di Roma Ladrona.
Oggi invece, con il Carroccio al governo e fedele quanto indispensabile alleato di Berlusconi, nessuno fiata. E’ qui che sta tutta la forza della provocazione di Travaglio. Che se fosse vera significherebbe una cosa: evidentemente la colpa per quei soldi mai arrivati è anche nostra, perché piuttosto che confidare su uno Stato giusto, che sa essere vicino ai suoi cittadini nel momento del bisogno, dovremo rassegnarci ad avere a che fare con uno Stato occupato da una politica opportunista e cinica, interessata solo a se stessa e alla difesa di interessi personali. E quindi ci si dovrebbe comportare di conseguenza, magari iniziando a smetterla di vot,i ma facendoli pesare, e costare, come fanno i più furbi.
Quindici anni fa Vallà sarebbe diventata un caso, un emblema, un simbolo di quanto l’Italia possa essere ingiusta. Oggi è solo un paesino sperduto di una provincia politicamente blindata dove è casualmente passata una tromba d’aria che ha fatto danni per 33 milioni di euro. La sua gente farà come ha sempre fatto: si rimboccherà le maniche senza dovere elemosinare nulla. Finirà che a metterci qualche euro saranno la Regione e magari la Provincia, supplenti di uno Stato assente ingiustificato, indifferente ai più deboli e debole con i forti.
Roma non è più ladrona e di Vallà di Riese non gliene frega niente a nessuno.

giovedì 5 novembre 2009

DISASTRO DI VALLA', VERGOGNA DI STATO


Perchè dopo il disastro a Messina sono arrivati 60 milioni di euro e a Vallà di Riese, paese della provincia di Treviso devastato da una tromba d'aria, i cittadini sono stati abbandonati e non c'è ancora un euro di aiuti? Servono i morti, il prime time dei telegiornali o le telecamere di porta a Porta per spingere questo governo a fare le cose? Questo è il comunicato che ho diffuso oggi


UNIONE DI CENTRO
Coordinamento Provincia di Treviso


COMUNICATO STAMPA


La gente di Vallà abbandonata e trattata da cittadini di serie B. Si muovano le Istituzioni locali perché lo Stato faccia lo Stato e il governo faccia il suo dovere

Dichiarazione di Paolo Camolei, componente del coordinamento provinciale: “I cittadini veneti e trevigiani devono rimboccarsi le maniche, quelli di Catania e Roma si fanno risanare i buchi del bilancio per centinai di milioni di euro dei loro Comuni da tutto il Paese e la gente di Messina, dopo la tragedia, ha avuto la fortuna di poter contare anche sul sostegno dell’unione Europea per un intervento di oltre 60 milioni di euro, arrivati pressoché subito. E’ questo il federalismo che ci promettono da 20 anni?”





“I cittadini veneti e trevigiani devono rimboccarsi le maniche, quelli di Catania e Roma si fanno risanare i buchi del bilancio per centinai di milioni di euro dei loro Comuni da tutto il Paese e la gente di Messina, dopo la tragedia, ha avuto la fortuna di poter contare anche sul sostegno dell’unione Europea per un intervento di oltre 60 milioni di euro, arrivati pressoché subito. E’ questo il federalismo che ci promettono da 20 anni?”.
Se lo chiede Paolo Camolei, membro del coordinamento provinciale dell’Unione di Centro a proposito della mancata destinazioni di fondi a sostegno delle popolazioni di Vallà, vittime a giugno della tromba d’aria che ha devastato la località del trevigiano.
“Basta con le umiliazioni! Siamo sempre stati bravi a fare per conto nostro, ma adesso ci stanno prendendo in giro. Arrangiarsi è una buona cosa, ma non consente allo Stato italiano di fregarsene di chi vede la propria vita sconvolta a causa di una calamità naturale. Non ci sono e non ci possono essere cittadini di serie A e di serie B, chi viene aiutato e chi viene ingiustamente dimenticato. Noi trevigiani, purtroppo, siamo cittadini di seconda serie. Dove sono finiti il federalismo e la fiscalità federale contenuti nel progetto di riforma derivato dalla Bozza Calderoni? La vicenda di Vallà è la dimostrazione che quello è un federalismo falso, fumoso, inconsistente, dannoso. La prova sta nella disuguaglianza di trattamento tra Messina e la località trevigiana: alla prima è arrivato anche l’aiuto dell’Europa, alla seconda nulla, come se quei 33 milioni di euro di danni non valessero niente se non parole e giustificazioni di circostanza. E non conta il fatto che la Regione stanzierà fino a 5 milioni di euro e che anche la Provincia di Treviso faccia la sua parte: non è compito di Venezia o della Giunta Muraro quello di reperire fondi straordinari per le catastrofi, ma dello Stato centrale. Intanto noi saremo chiamati a pagare due volte, dirottando risorse del territorio, che non potranno quindi essere spese per altro, al fine di supplire alle manchevolezze del governo centrale ostaggio del finto federalismo da copertina della Lega”.
“Come Unione di Centro della provincia di Treviso non vogliamo dimenticarci delle popolazioni di Vallà né farci ubriacare dalle tante parole di giustificazione a cui, fino ad oggi, sono seguiti solo fatti sconsolanti. Piuttosto è giunto il tempo che, in maniera trasversale e con senso di responsabilità i rappresentanti istituzionali trevigiani convergano nella costituzione di una vera e propria lobby territoriale che compia fatti e che richiami il governo, i ministri veneti, il parlamento e gli eletti in questo collegio alle loro precise responsabilità. Condurremo una battaglia politica a oltranza, di sostanza, non di forma o di immagine, affinché venga fatto valere il diritto delle popolazioni di Vallà ad essere sostenute e ad essere considerate esattamente come tutti gli altri che, in circostanze similari, hanno invece potuto godere di quella presenza e vicinanza dello Stato su cui il veneto non sembra poter contare. Basta con i trevigiani che lavorano e tacciono, a solo vantaggio di una politica incapace di fare se non per se stessa: lo Stato faccia lo Stato e il governo faccia il suo dovere, anche lì dove non ci sono convenienze elettorali e non arrivano le telecamere di Porta a Porta”

Treviso, 5-11-2009

venerdì 30 ottobre 2009

IL CONTO SALATO DEI CONCORDATI (il mio editoriale di oggi su Tribuna di Treviso)


Questo giornale si è imposto, attraverso un’inchiesta, di spiegare ai suoi lettori come sia possibile salvare imprese destinate al fallimento trovando un accordo per cui i creditori si accontentano di una parte residuale di quanto spetterebbe loro, a volte anche solo un sesto del credito originario.
E siccome nessuno fa nulla per nulla, viene spontaneo chiedersi anche, e provare a capire, chi e come ci guadagni da questo meccanismo e chi, al fondo della «catena alimentare economica», si ritrovi con il cerino in mano senza poterlo dare a qualcun altro.
Nel suo editoriale, Enrico Pucci propone domande a cui in fondo già da delle risposte. In effetti i principali beneficiari dei concordati sono le banche, creditori chirografari, non privilegiati, che non hanno nessun interesse a far fallire una azienda, soprattutto se una grande azienda, rispetto alla quale vantano crediti, sotto qualsiasi forma. E questo non solo perché rientrare anche solo del 16% è sempre meglio che non rientrare di nulla, come spesso succede nei fallimenti. Ma anche perché dal momento che il concordato viene concesso lì dove ci sia un piano industriale che consente un effettivo rilancio delle attività, gli istituti di credito spesso entrano nel capitale sociale dell’azienda risanata. Così, con gli utili che si andranno a fare, chiudono il cerchio dell’esposizione originale e si procurano anche una rimessa di denaro futura che sarà puro guadagno.
Nel frattempo la banca pratica il rigore altrove: chiude fidi alle famiglie o alle piccole imprese, si ingegna in nuove e costose commissioni, impone rientri, taglia mutui e prestiti, richiede garanzie personali pari anche a quattro volte la linea di credito richiesta.
Il trasferimento del rischio dalle banche al tessuto sociale non è però il solo effetto dei concordati. Infatti per salvarne una, di impresa, spesso se ne ammazzano decine. Pensate cosa sia il danno per un sub fornitore artigiano che cade nel gorgo del fallimento di un debitore e che si vede imporre, a maggioranza, un concordato al 20%. Vuol dire che se vantava un credito di 100 mila euro ne riceverà solo 20 mila. Una botta che è abbastanza per distruggere quella piccola impresa, per far saltare i posti di lavoro che garantisce e per disperdere le professionalità del titolare e dei dipendenti.
La ratio del concordato preventivo era quella di fare il possibile per consentire la prosecuzione di una attività, evitando l’evento traumatico del fallimento. E in parte dovrebbe anche garantire, se pur in una quota residuale, i creditori, sull’assunto che poco sia meglio di nulla. Il fatto è che in questa situazione, caratterizzata da crisi di mercato e di liquidità delle piccole e medie imprese, la drastica riduzione del credito esigibile non è un «meglio» rispetto a niente, ma equivale al nulla. Tanto più se quella piccola impresa si vede tagliato il credito proprio dalla banca e deve cercare di sopravvivere, pagare gli stipendi i contributi e i fornitori, con la liquidità di cui dispone.
Il diritto fallimentare non poteva, nel concepire questa procedura, prevedere la recessione. Ma è singolare che una crisi da debito, che ha visto il mondo finanziario infettato di crediti inesigibili, porti come conseguenza, per evitare i fallimenti, la distribuzione del debito privato di una impresa sulla collettività di un territorio, con i danni che è facile immaginare. Né è ammissibile che le banche finiscano per diventare, da vittime peraltro un pò colpevoli e consapevoli della bolla mondiale dei subprime, ad esecutori materiali della distruzione della ricchezza locale, del massacro delle aziende piccole, cioè la stragrande maggioranza delle realtà produttive. E diventare un problema in più per le famiglie.
Il sospetto è che l’inchiesta di questo giornale finirà per mettere in luce come nella crisi, senza che si siano ad oggi adottate dal governo politiche anticicliche e di vera ammortizzazione del danno, ognuno fa quello che può per salvare il proprio didietro. Ciascuno con la sua forza, il suo potere, la sua capacità di manovra. Alla fine della fiera, a pagare il conto sono insomma i soggetti economici e sociali più deboli, quelli che non hanno forza, capacità di manovra, potere contrattuale. Nel frattempo, c’è chi si bea che il nostro Pil sia migliore di altri nel continente, anche se a fare felici dovrebbe essere una insignificante frazione di decimale. Peccato che la distribuzione della ricchezza in Italia sia tra le più disuguali nell’Europa dell’Unione, le tasse le più alte, la povertà in esponenziale crescita, la fiducia ai minimi, il tessuto produttivo spompato. E peccato che i furbi, come appare evidente, riusciranno a far pagare il conto della crisi a quelli che neanche si sono mai avvicinati alla tavola e che oggi sono diventati i più esclusi degli esclusi.
Tutte cose che il Pil, misuratore vecchio e oramai obsoleto della ricchezza di una nazione, non dice.

lunedì 26 ottobre 2009

IL SENSO DELLA STORIA


"Un senso a questa storia" era lo slogan scelto da Bersani per le primarie del Partito Democratico.
Ora che è stato eletto segretario, un senso a quella storia, la storia della lunga trasformazione del Pci, della confluenza con la parte di sinistra degli ex popolari, del nuovo partito che per un po' è sembrato quello del "né né", della necessità di trovare una collocazione politica che non forse cerchio-bottista, Bersani lo può dare.
Con lui il Pd assume una immagine decisamente più di sinistra, come più di sinistra è l'uomo, rispetto a Franceschini. Che cosa questo voglia significare lo scopriremo nei prossimi giorni, cercando anche di capire se ci sarà la fronda interna, la scissione minacciata da Rutelli o l'opposizione dura a cui è tentato lo sconfitto delle primarie.
Se non altro i democratici, per volere del loro "popolo", ritrovano un identità precisa, cosa che avevano perso nel lungo percorso di costruzione. E con questa identità di sinistra, che evidentemente l'elettorato sentiva bisogno, Bersani si presenterà a fare i conti con la destra e con il centro.
Più che a colpi di legge elettorale maggioritaria, questa è la semplificazione di cui si sente il bisogno; non importa se si condivide o meno il messaggio e il programma del Pd di Bersani perchè ora la politica italiana prende una forma più definita: da un lato una sinistra che ha ancora in sé forti richiami socialdemocratici, dall'altro una destra populista, in mezzo un centro popolare.
Da domani la politica non sarà più la stessa, ammesso che il Pd non si dissolva per fuga della sua parte di centro; ma anche questa, in fondo, sarebbe una evoluzione chiarificatrice.
Insomma, più giochetti: l'elettorato ha uno strumento in più per capire, e per decidere.

venerdì 23 ottobre 2009

CARO BERSANI, IL PUNTO NON E' PIU' L'ANTIBERLUSCONISMO


Sarà generosa, dice lui, l'offerta che verrà dal Pd se Bersani verrà eletto segretario del partito alle primarie. Una offerta , riportano i giornali di oggi "generosa" con l'Udc e le altre forze di opposizione, perchè "il premio dell'antiberlusconismo lo vince chi manda casa le destre".
Sembra l'idea di un Ulivo allargato all'Udc, cosa che francamente non vuol dire nulla, Nè appare poi così generosa. Ma che soprattutto denota una certa "debolezza" politica del Pd: il carrozzone dell' "anti", piuttosto che il programma e il progetto politico "per".
Difficile, francamente, che possa reggere l'idea di mettere insieme Pd e Udc, e Udc con i comunisti e "questo" Di Pietro. Dalla sinistra radicale l'Unione di Centro è separata, credo irrimediabilmente, da idee, programmi e valori. Da "questo Di Pietro" soprattutto ci separano i modi: non che i temi portati all'attenzione dall'Idv non siano meritevoli di considerazione o non sia importanti, rilevanti e urgenti. Ma non mi sento di essere contro la maleducazione lessicale della destra perchè è destra (e perché non né condivido i contenuti) e passar sopra alla maleducazioen lessicale di di Di Pietro (penso agli attacchi contro il Presidente Napolitano) perchè entrambi stiamo all'opposizione.
Semmai, in Veneto come altrove, è LA QUESTIONE è politica. Stare insieme al Pd (e non mi nascondo che per tanti elettori "storici" dell'Udc sarebbe una cosa complicata da digerire) non mi spaventa in quanto tale; così come non mi spaventerebbe, anzi, ritrovare tanti moderati della Pdl in un progetto comune di Partito Popolare (che è poi il nome che a me sarebbe piaciuto come sbocco della costitutente di centro). Il nodo è infatti questo, polItico: non so cosa voglia rappresentare il Pd, se un nuovo partIto socialdemocratico o un soggetto con una sua originalità. Non vedo chiaro su quali valori si posizioni, così come ad oggi non è chiaro come e perché, al suo interno, convivano diversità che sono anche contraddizioni.
Come Unione di Centro noi puntiamo alla realizzazione di un soggetto nuovo, moderato ma fortemente riformista e liberale. Penso che, sulla lunga distanza, sia un progetto alternativo al Pd. Ma in via contingente, se è l'anomalia della videocrazia populista e autoritaria quello che si vuole superare, e se il processo è quello di far far fare meno danni possibili alle ali estreme (in questo momento Lega e Idv), il confronto può restare aperto. Ma dobbiamo parlarci, e chiaramente, di valori, di idee, di programmi. E' intorno a questo, come avvenuto in Trentino, che si può trovare una convergenza. Sul fare, non tanto sull'essere.
Ma per essere generosa, come dice lui, l'offerta di Bersani dovrebbe mettere sul tavolo questi spunti di confronto, tralasciando parole vecchie e perdenti, come l'antiberlusconismo. L'accozzaglia di quelli che stanno insieme solo perché hanno in comune uno che ti sta sulle scatole a tutti non è politica. E' confusione. Per questo, allo stato dei fatti, tra Udc e Pd la distanza resta. E sarà molto difficile colmarla.

martedì 20 ottobre 2009

IL CREDITO ALLE FAMIGLIE IN DIFFICOLTA' A TREVISO. UIL E PD PROPONGONO UN FONDO PUBBLICO DI GARANZIA. LA NOSTRA POSIZIONE

COORDINAMETO PROVINCIALE
UNIONE DI CENTRO


COMUNICATO STAMPA


Credito ai lavoratori in difficoltà, sì ad un confronto Provincia, parti sociali e istituti di credito del territorio

Paolo Camolei avverte: “Attenti a non pensare di uscire da una crisi da debito solo con altro debito a carico delle famiglie. Dubbi sulla possibilità di finanziare un fondo pubblico di garanzia”



“E’ giusto fare tutto quello che è possibile per sostenere le famiglie in difficoltà economica, e fare di più rispetto ad oggi. Ma quando si chiede un fondo pubblico di garanzia per il credito al consumo a rischio, perché chiesto da chi non ha più il reddito, bisogna anche dire per che cosa e come lo si finanzia, altrimenti sono le solite parole al vento”.
E’ il giudizio di Paolo Camolei, membro del coordinamento provinciale dell’Unione di Centro, rispetto alla proposta del segretario della Uil Antonio Confortin e condivisa dal Partito Democratico, sull’opportunità di creare un fondo pubblico provinciale a garanzia delle richieste di credito al consumo da parte di lavoratori disoccupati o cassaintegrati.
“Attenzione alla ricette improvvisate, non si esce da una drammatica crisi causata anche dall’eccesso del debito privato finanziando altro debito, per quanto sia condivisibile l’idea di trovare formule per gestire quelle emergenze economiche a cui famiglie che perdono il reddito possono far fronte solo attraverso un prestito. Il punto è quello di trovare equilibrio fra le preoccupazioni delle banche, che non possono trovarsi a gestire crediti che divengono inesigibili, e il bisogno di traghettare chi è impoverito attraverso questa fase complicata. Un confronto con gli istituti di credito, su modalità e criteri di erogazione da un lato e tasso di interesse d’altro, può essere una strada da percorrere e su questo credo che la Provincia debba aprire una discussione costruttiva con le parti sociali e le banche del territorio”.
“Sulla proposta del fondo pubblico di garanzia rimane comunque il nodo di come finanziare queste misure straordinarie, soprattutto in una fase che vede i bilanci degli enti pubblici fortemente penalizzati dalle regole sul rigore della spesa e la riduzione degli introiti fiscali a causa della crisi. Le belle idee rimangono tali se non si riesce a dare concretezza. Senza dimenticare che l’uscita da questa condizione di impoverimento non può avvenire attraverso la creazione generalizzata di nuovo debito, ma lavorando perché tornino le condizioni per una nuova e buona occupazione”.

Treviso, 20-9-2009

MODERATI RIFORMATORI E LIBERALI: INSIEME!

COORDINAMETO PROVINCIALE
UNIONE DI CENTRO


COMUNICATO STAMPA


APPELLO DELL’UDC PROVINCIALE: UNITA’ DEI MODERATI LIBERALI E RIFORMATORI



“Ai moderati stanchi del mercato delle vacche che svende l’Italia, il Veneto e la nostra provincia alla Lega diciamo: facciamo subito nella Marca l’unità dei moderati riformatori e liberali per lavorare insieme ad un nuovo soggetto ispirato al popolarismo italiano ed europeo”.
E’ l’appello rivolto oggi da Paolo Camolei, componente del coordinamento provinciale dell’Unione di Centro e capogruppo, in consiglio comunale a Treviso, di “Per Treviso-Udc”.
“Non è un appello rivolto solo agli scontenti della Pdl ma una proposta politica che punta a costruire una alternativa al ricatto politico della Lega, che grazie alla debolezza del Presidente del Consiglio, riesce a tenere in scacco la politica e il Paese. Ma i liberali riformatori, anche a Treviso, hanno una alternativa all’estremismo e ai giochini partitocratici: contribuire a costruire insieme un soggetto politico nuovo, moderato nei modi ma profondamente riformista, capace di costruire su valori condivisi quella modernità liberal-democratica di cui si sente un urgente bisogno”.
“Ai balletti di nomi per questa o quella carica l’Unione di Centro trevigiana preferisce la discesa sul piano della proposta e dei programmi, per una politica che torni ad essere fatta di idee e non di caselle con posti di potere da riempire. Il nodo Galan, qualunque sarà l’epilogo della vicenda, ha posto una questione politica che i liberali della Pdl non possono più eludere, sempre che non si voglia proseguire a sacrificarsi in nome degli accordi siglati ad Arcore che non tengono in minima considerazione il territorio. Per questo il percorso della cosiddetta Lista Civica, proposta dal segretario regionale De Poli all’attuale governatore della Regione, può trasformarsi, da scelta tattica e contingente, a progetto di unità dei moderati riformatori contro i conservatorismi di destra e sinistra. E questo cammino può iniziare concretamente anche a Treviso, per aprire spazi e prospettive nuove alle imposizioni della Lega e al quel metodo di governo del Carroccio che coltiva e gestisce la paura ma non risolve i problemi concreti dei cittadini”.

Treviso, 20-10-2009

L'IMPEGNO

Cari amici, so che ci siete, anche se non commentate di frequente, ma tra questo blog e facebook ora i riscontri diventano più assidui.

Vi devo qualche notizia: dalla settimana scorsa sono entrato a far parte del coordinamento provinciale di Treviso dell'Unione, il partito nuovo (e non solo un nuovo partito) che mette insieme le esperienze poltiche dell'Unione dei Democratici cristiani, quella della Rosa Bianca, delle liste civiche (di cui sono un rappresentante) e, in veneto, del Veneto per il Partito Popolare Europeo.

Giovedì scorso, a Treviso, abbiamo tenuto la nostra prima vera assemblea. Quella ell'Unione di Centro è una bella avventura, a cui partecipo con entusiasmo. E nella speranza di poter contribuire a questo nuovo soggetto: liberale e riformatore, che mette insieme laici e cattolici ma tenuti insieme dal collante dei valori della nostra civiltà, dal senso di servizio verso le comunità, dalla voglia di fare e dimostrare una politica nuova, più attenta alle esigenze dei cittadini, davvero federalista, davvero attenta alla valorizzazione del territorio, delle sue tradizioni, senza le chiusure xenofobe che ben conosciamo e che non ci appartengono. E che ha nella dottrina sociale della Chiesa e nell'economia sociale di mercato punti fermi per dare risposta alla domanda: ma che società vogliamo?

Lontano da facili semplificazione e banalizzazioni, il nostro è un partito che discute, con passione, anche su temi delicati e sensibili come quelli dell'etica, sulla base della libertà della coscienza e nello stesso tempo dell'adesione a principi fondamentali che appartengono a noi tutti: laici, cattolici, credenti e non credenti.

Questo impegno mi porterà ad aggiornare questo blog con maggiore assiduità, con più attenzione, cercando di approffondire tanti temi con voi. Non voglio sapere come la pensate per poi dirvi che avete ragione e chiedervi i voti, voglio sapere cosa pensate, come vivete, che proposte fate, che bisogni ritenete urgenti, con uno spirito critico e costruttivo.

Spero si potrà fare, arricchendoci insieme, indipendentemente dal partito per cui si vota o si è votato.

Vi saluto tutti

lunedì 12 ottobre 2009

PIU' SATIRO CHE INTELLIGENTE? LE DONNE SECONDO SILVIO


La rozzezza dell’infelice battuta “lei è più bella che intelligente” che Silvio Berlusconi ha rivolto a Rosy Bindi è solo un ennesimo esempio della volgarità istituzionale a cui il Premier si lascia consapevolmente andare quando entra in difficoltà.
Il rosario di scorrettezze verbali, rivolte non solo agli avversari ma anche al Presidente della Repubblica e alla Corte Costituzionale, sono la cartina di tornasole con cui si misura l’onnipotenza che Berlusconi si attribuisce, da cui discende naturalmente il desiderio di impunità, reso tanto più urgente quanto è complessa la situazione giudiziaria di un Presidente del Consiglio che non è perseguitato, ma semmai a rischio di essere perseguito, il che è una cosa molto diversa.
Il dizionario della gretta semplicità nella comunicazione politica, che fa presa in buona parte dell’elettorato, è un codice di comportamento che discende da Roma alla politica locale, come peraltro insegnano bene anche le vicende trevigiane, dove tra liste di proscrizione dei culattoni e delle lesbiche e comportamenti arroganti e autoritari della maggioranza che regge Ca’ Sugana, la politica si esprime con volgarità e grettezza ricevendo in cambio, dall’elettorato, una gratificazione in termini di consenso che va capita, ma che sconcerta pure.
Quanto all’offesa di Berlusconi alla Bindi il punto non è quello di inalberarsi in difesa del bon ton della lingua e del rispetto dei generi contro il machismo da osteria di cui purtroppo anche il Premier di tutti gli italiani si rende capace. Ci si dovrebbe invece chiedere che cosa pensino le donne di un Presidente del consiglio untore di una in-cultura arretrata, che continua a considerare le “femmine” come un combinato di tette e culi solo incidentalmente accessoriate di cervello. Quindi l’idea della “gnocca” suppellettile che porta alla pratica di affollare le proprie feste private di donnine e i dicasteri ministeriali di ex pin up, meglio se con l’aria un po’ svampita.
Quanto alle donne e ai loro giudizi, penso soprattutto a quelle donne che fanno politica quotidianamente e soprattutto a quelle che si impegnano nelle fila della Pdl e della Lega. E’ da loro che dovrebbe venire uno scatto di ribellione, anche pubblicamente silenziosa non per questo meno urlata nei loro ambienti, che ci aiuti a mandare in soffitta il vero problema della democrazia, da Roma a Ca’ Sugana, che è l’affermarsi di una politica indifferente alle regole, leaderista e quindi naturalmente portata alle spinte autoritarie, volgare e che coltiva la volgarità anche nella società, giusto per rappresentarla meglio.
L’idea, come padre, che mia figlia possa, nell’Italia figlia di 15 anni di berlusconismo, essere considerata e valutata nella generalità dei casi più per la lunghezza delle sue gambe che per la sua personalità o intelligenza mi rivolta. Così come non se ne può più di quella cultura maggioritaria, ben messa in vetrina dalla Mediaste del Presidente del Consiglio come dalla controllata Rai, che propone modelli di donna che percorrono, come strada verso il successo personale, i vicoletti dei reality o del velinismo, in cui ottenere fama e successo esibendosi cretine.
Se proprio non si riuscirà a convincere Berlusconi a rappresentare un centro destra degno di essere riconosciuto come schieramento di destra costituzionale, ci sarebbe da augurarsi che il buon senso e la buona educazione della gente freni la deriva dalla repubblica delle banane alla repubblica del mignottismo fondata, al suo primo articolo, sulla cultura della sputatata per terra e della innocente palpata gaudente alla prima chiappa che passa.

mercoledì 7 ottobre 2009

IL FORTINO DI CA' SUGANA. L'EDITORIALE DI OGGI DEL DIRETTORE DI TRIBUNA MOSER SULLE DELIBERE DI INIZIATIVA POPOLARE A TREVISO

Ciao, lettori. Come avrete letto sui giornali (poco, a dire il vero), la nostra iniziativa per introdurre le delibere di iniziativa popolare anche a Treviso è fallita, sotto i colpi della mannaia di regime di lega e Pdl.

Posto, sulla vicenda, il bell'editoriale scritto dal direttore di Tribuna di Treviso, Sandro Moser, e pubblicato quest'oggi.



Non disturbare il manovratore. Da anni è questa - o meglio, vorrebbe essere questa - l’aspirazione della maggioranza che governa Treviso. E bisogna dire che in questa partita la giunta Gobbo ha segnato un ottimo punto nell’ultima seduta del consiglio comunale, quando è stata bocciata la proposta di istituire anche a Treviso, come in tante altre città, la «delibera di iniziativa popolare» proposta da Paolo Camolei (come tutti sanno, un noto estremista). Un buon punto per la giunta Gobbo, una pessima cosa per Treviso e per i suoi cittadini. Con una «delibera di iniziativa popolare» un gruppo di cittadini - raccolto un certo numero di firme - può mettere a fuoco un proporre una soluzione e chiedere che il consiglio comunale, in tempi ragionevoli, ne discuta e decida in proposito. Può essere un sì, può essere un no. Ma una risposta, a quei cittadini, deve arrivare e tutto avviene in modo trasparente.
Perchè la bocciatura della proposta di Camolei è grave e ci chiama in causa tutti? Perchè la «delibera di iniziativa popolare» è uno strumento autentico di partecipazione democratica, di responsabilizzazione e di crescita civile.
In tutti i comuni italiani esiste un problema di partecipazione. Sindaco e giunta possono tutto e i consigli comunali sono sempre più spesso declassati al ruolo di notai, piuttosto che di vere assemblee in cui la discussione è libera e fattuale. Un problema reso più acuto, a Treviso, da anni e anni di monocolore leghista e dalla sua concezione autoritaria del governo. L’ingresso in maggioranza del Pdl avrebbe potuto dare un po’ d’aria a Palazzo dei Trecento. In molti se lo aspettavano, ma questo finora non è avvenuto.
In ogni caso lo spazio di discussione si è ridotto e una conseguenza non banale è stato il proliferare, spesso disordinato, dei comitati di protesta. Accettare l’istituzione della «delibera popolare» avrebbe potuto riequilibrare la dialettica sul merito dei problemi della città, incoraggiando la partecipazione dei cittadini. Ma Gobbo non l’ha voluto. A lui le cose stanno bene così.
Organizzare una protesta attorno a un istituto come la «delibera popolare» significa anche assumersi una responsabilità: i problemi vanno studiati, le soluzioni vanno meditate. Significa anche imporre responsabilità: come detto, giunta e consiglio comunale possono anche rispondere picche. Ma devono argomentare. A loro volta devono studiare e meditare. Diciamo che c’è meno spazio per ideologismi e strumentalizzazioni e più spazio per i ragionamenti di merito. Da entrambe la parti.
Studiare, meditare, assumersi la responsabilità di un atto concreto come una «delibera popolare» vuol dire anche crescere civilmente. Come? Razionalizzando la propria insofferenza, dando una forma compiuta alle proprie rivendicazioni, sforzandosi di individuare soluzione praticabili. Esattamente il contrario di quello che succede troppo spesso con i comitati di protesta che nascono e muoiono, appunto, nel fuoco effimero della protesta, che non sa diventare proposta perchè non ha gli strumenti per farlo. Ma anche qui è comprensibile che un manovratore - che non ama essere infastidito - preferisca le urla alle argomentazioni nero su bianco di una «delibera popolare». Alle urla si può rispondere con un’alzata di spalle: prima o dopo cessano per mancanza di fiato. A una «delibera popolare» bisogna rispondere.
Partecipazione democratica, responsabilità, crescita civile: a noi sembrano ottime cose. Alla giunta Gobbo invece no. E per sotterrare la proposta di Camolei, Ca ’Sugana si è messa d’impegno. Prima ostacolandone il viaggio verso il consiglio con un sacco di bizantinismi. Poi in commissione - e questo passaggio merita di essere raccontato - cercando di sterilizzarne la portata. Ad esempio proponendo con un emendamento di portare da 350 a 1.500 le firme necessarie per avviare una «delibera popolare». Solo per capire a Roma e Milano ne sono necessarie 5 mila. Oppure, altro esempio, limitando in modo drastico le materie trattabili. Modifiche, insomma, strumentali.
Dunque, la partita è chiusa? Forse, ma ci piacerebbe che - reso onore alla sconfitta di Camolei - tutta l’opposizione per una volta trovasse un punto di incontro e richiamasse Gobbo alla rivincita, ripresentando la proposta di dare anche a Treviso il diritto di presentare una «delibera di iniziativa popolare». E che insieme all’opposizione arrivasse a Ca’Sugana anche la voce di quei trevigiani che sono stufi di sentirsi esclusi dal Fortino Ca’Sugana.

lunedì 14 settembre 2009

A CHIANCIANO, UNA COSA GRANDE

Sono reduce dalla tre giorni di Chianciano, che io considero una grande speranza per la politica di questo paese. Perchè c'è il progetto di un nuovo soggetto politico non schizzofrenico, e anche per i contributi dati da Rutelli e da Fini.
Credo che la tradizione liberale e popolare di questo paese, davvero riformatrice e non populista, sia ad una proobabile svolta.
Penso che il paese sia stanco di questa poltichetta del consenso, giocata tra paure e mignotte. Ovviamente non tutti saranno d'accordo sulle soluzioni politiche del Centro, ma non credo che sia questo il punto.
E' invece condiviso il bisogno di una poltica capace di mettereci nelle condizioni di avere una alternanza compiuta, con due schieramenti che rispettano le medesime regole e condividono i medesimi principi di base dello stato. Poi sulle politiche, ovviamente e naturalmente, ci si divide. Oggi non è così, l'operato di Berlusconi e della Lega sfacia, non crea nulla.
La strategia di Casini credo sia un contributo, ed io, essendo moderato, sto da quella parte. Ma mi piacerebbe che il Pd si mettesse nelle medesime condizioni.
A Chianciano ho visto tanti giovani, ho assaporato speranze, ho ascoltato ragionevolezza. Insomma: alle armi, cittadini, alle armi!!!!

mercoledì 2 settembre 2009

IL RITORNO..ALLA BARBARIE

Dopo un po' di ferie (un po' tante, a dire il vero, ma diciamo che me le sono meritate)riprendo ad aggiornare anche il mio blog.

Riparto con una risposta ad un intervento, che ho letto lunedì 1 settembre su La Tribuna di Treviso, a firma dell'onorevole della lega Nord Dussin, sul caso Feltri-Boffo.

Di seguito pubblico lo scritto dell'on Dussin e il mio commento, pubblicato oggi sempre da La Tribuna di Treviso.


VAI FELTRI, FACCI SOGNARE

di Luciano Dussin *

È il fatto del giorno: Feltri contro Boffo. Personalmente ritengo che il direttore del quotidiano «Il Giornale» abbia dato prova di essere un grande. E’ entrato a gamba tesa in una disputa che ormai logorava i più.
Da una parte Berlusconi martirizzato, per essersi attorniato di qualche bella ragazza, da chi intendeva creare lo scandalo per negargli in futuro quella verginità nei comportamenti che è richiesta ai futuri presidenti della Repubblica.
I primi a gioire per il terreno minato ai piedi di Berlusconi, proprio per impedirgli i primi passi verso quella presidenza, sono stati senza dubbio buona parte dei magistrati: va ricordato che il presidente della Repubblica è anche presidente del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura).
C’é da chiedersi se alcuni magistrati vogliano evitare i ricordi e le intromissioni «subite» ai tempi del picconatore Cossiga?
Dall’altra, Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, quotidiano dei vescovi, che, assieme alla stampa comunista, da mesi attua quello che certa magistratura si aspetta, vale a dire il logoramento politico-morale di Berlusconi.
Feltri ha contrattaccato ricordando a Boffo i suoi trascorsi giudiziari legati anche ai suoi comportamenti sessuali, e al direttore della vera Unità, parliamo di «Repubblica», ha ricordato che chi fa il moralizzatore dovrebbe esimersi dall’effettuare pagamenti in nero come invece sembra aver fatto.
Allora, mi sento di ringraziare Feltri, perché mi ha fatto sognare. Mi si sono presentati due ipotetici presidenti della Repubblica. Uno avvezzo a frequentazioni femminili, l’altro logoro per aver speso l’intera sua gioventù nel proporci il modello comunista che tanto ha affamato il mondo negli anni, e mi sono chiesto quali dei due avrei preferito. Ho scelto il primo.
E, vista la contingenza degli avvenimenti, ho cominciato a respingere con disprezzo tutti quelli che in queste ore hanno attaccato Feltri, e quasi beatificato il Boffo.
Tra questi, si sono espressi esponenti della chiesa cattolica che, ahimè, dimenticano che, parole della stessa Chiesa, l’omosessualità sia contro la vita e atto contro natura. Hanno difeso Boffo perché direttore dell’Avvenire, punto e basta. Contenti loro...
Ovviamente la politica è intervenuta sulla questione, hanno parlato quelli che vanno a rimorchio delle notizie degli altri. Non poteva mancare Franceschini, d’altronde i suoi maggiorenti non mancano mai alle eleganti marce gay, quindi come avrebbe potuto esimersi dal condannare Feltri. Incomprensibili gli uomini del Pdl che si sono indignati per la mancanza di eleganza e di riservato equilibrio manifestata da Feltri per quello che ha scritto.
Personalmente ringrazio chi ha dato prova di uscire dalle nebbie del compromesso, dagli equilibri di comodo, dal ciarpame di che vive per lo più da stipendiato dallo Stato e che si affanna affinché il sistema non abbia mai a soffrire...
Di questa gente i cittadini ne hanno le tasche piene, quindi, benvenuto a chi ha ancora il coraggio di dire la verità insopprimibile da qualunque ipocrita consapevole di esserlo.
* Parlamentare della Lega


BOFFO E DUSSIN

SCIACALLAGGIO SESSUALE


di Paolo Camolei

A fare da sfondo ai colpi di artiglieria pesante, che le trincee della politica italiana si scambiano attraverso gli scandali mediatici e che hanno oramai sfondato la linea-limite del buon senso civile, c’è da qualche tempo il richiamo a ridurre il livello della cosiddetta barbarie.
È barbarie la pubblicazione delle foto compromettenti del Presidente del Consiglio, viatico alle voci sul suo stile di vita libertino? È barbarie la lista delle dieci domande di «Repubblica», oggetto ora di un azione giudiziaria in sede civile da parte del Premier? È barbarie lo sciacallaggio intimidatorio a cui viene sottoposto il direttore del quotidiano della Cei «Avvenire»?
Ognuno, e purtroppo temo non esercitando la propria intelligenza ma più spesso imbracciando una bandiera, potrà dare le sue rispettabili risposte.
Ma tutti concordando sul fatto che, comunque la si veda, i toni andrebbero non solo abbassati, ma ricondotti su binari più congeniali ad un paese moderno e civile.
Ma se a cominciare questa rincorsa non solo al decoro quanto al buon senso dovrebbe essere per prima la politica, l’intervento pubblicato su questo giornale a firma dell’Onorevole Luciano Dussin non mi pare un bel segnale. Sorvolo sui toni da tifoso, perché ciascuno, giustamente, è libero di esprimere le proprie idee e di farlo, nei limiti del rispetto, con i toni che più gli piacciono.
Ma ricondurre tutto all’alternativa fra il machismo da pacche sulla spalla del Premier, che si circonda di belle e giovani donne, e una supposta omossessualità è il segnale di un preoccupante clima in cui l’agone della politica si è trasformato in una arena per gladiatori, dove si comincia a combattere sapendo che Cesare, allo sconfitto, offrirà il pollice verso e quindi tutti i colpi valgono, fino all’annullamento totale dell’avversario.
Non entro sul fatto se aver scritto di un decreto penale a carico di Boffo sia stato, da parte del «Il Giornale», un atto conforme non tanto all’etica quanto alla pratica del mestiere di giornalista, il cui compito è quello di informare.
Ma resto francamente amareggiato nel leggere un intervento, quello dell’onorevole Dussin, in cui prevale il gusto di utilizzare come argomento «contro» comportamenti, peraltro solo supposti, non tanto di rilevanza penale ma di natura sessuale (e su quest’ultima cosa mettere l’accento), che atterrebbero alla sfera del privato e, nel caso di un credente, alla sfera personalissima del rapporto fra sé e i propri convincimenti morali.
Il punto non credo sia distinguere i cavilli della vicenda privata di Berlusconi e quella di Boffo: semmai serve un stigmatizzazione forte, autorevole e condivisa, del metodo dello sputtamento intimidatorio, verso chiunque e comunque, perché in questi casi il mal comune non fa un mezzo gaudio, né può più valere l’orrendo teorema per cui se tutti sono colpevoli, allora non c’è mai nessun colpevole.
Dietro alla vicenda del documento pubblicato da «il Giornale», come concordano molti osservatori, c’è poi il lato oscuro della sua provenienza e compilazione, un lessico incerto e persino un po’ oscuro che offre il fianco alla quella specialità italiana che è la dietrologia.
Essendo convinto che più che per le sue supposte scappatelle il Premier andrebbe giudicato per l’azione di governo, sono altrettanto e assolutamente certo che le posizioni dell’«Avvenire» e del suo direttore riguardo alla politica dell’esecutivo sui respingimenti e sulle vicende personali del Presidente del Consiglio meriterebbero semmai, da chi si sente in titolo di darne, risposte circostanziate e di merito.
Vincono invece la denigrazione, il tentativo di calunniare (peraltro di cattivo gusto se come offesa si utilizza un anche solo supposto orientamento sessuale) e l’intimidazione, che diventano il lessico popolare di una politica di breve respiro, che si accontenta di compiacere la pancia dei propri elettori, incapace di affrontare con efficacia le esigenze reali del Paese, e quindi, anche se così può anche non apparire, drammaticamente lontana dalla gente e dai suoi bisogni.

giovedì 30 luglio 2009

IL PARTITO DEL SUD

Sono cambiate tante cose in Italia negli ultimi venti anni, più o meno dalla caduta del muro di Berlino e la stagione della Seconda Repubblica, ma il nodo del sud, la cosiddetta “Questione Meridionale”, è rimasta tale e quale.
Il meridione rimane un’area fortemente arretrata del Paese, economicamente e socialmente, caratterizzata dalla cattiva gestione, dagli sprechi, dagli alti livelli di disoccupazione e presenza invasiva nel territorio della criminalità organizzata; e rimane identico il modo di affrontare tutti questi problemi, cioè nel solco del clientelarismo più smaccato.
Ne sono una dimostrazione i fatti della cronaca politica di questi ultimi giorni, cioè il ricatto del cosiddetto “partito del sud”, che costringe ora Berlusconi a fare quello che, secondo i neo-meridionalisti, non avrebbe fino ad oggi fatto per colpa della Lega e di Tremonti.
E’ vero: il sud non decolla perché non ci sono politiche di ampio respiro che lo mettano in condizione di liberare le energie e non continuare ad essere solo una costosa zavorra, che mortifica le aspirazioni di benessere e riscatto della sua gente. E’ anche vero però che l’unica chance per il Sud è il federalismo, cioè il riappropriarsi con responsabilità, da parte dei cittadini, del loro destino e della possibilità di amministrarsi senza dover contare sui regalini di Roma. Ovvero tutto il contrario, è bene dirlo, della “centralizzazione” della gestione degli interventi promessi dall’esecutivo.
Al momento invece, malgrado la riforma federalista diventata legge dello Stato ma fumosa e di difficile applicazione, la politica meridionalista va alla riscossa facendo cioè suonare in testa al primo ministro il campanello d’allarme di una secessione morbida dal centrodestra, che tolga forza all’attuale maggioranza e al Popolo della Libertà. Argomenti verso cui Berlusconi è sensibilissimo: e infatti invece di commissariare Campania e Calabria a causa della malagestione, ricavandone magari persino risparmi da reinvestire, il premier ha deciso l’ennesimo piano straordinario, fatto sì di investimenti, ma che promette soprattutto, malgrado quanto detto proprio dal Primo Ministro, nuovo lustro a quella classe di politici che si è sentita emarginata per l’emergere dei leghisti e il peso che questi hanno acquisito in seno all’alleanza che governa a Roma.
Chi pagherà tutto questo? Di sicuro noi. Chiamiamolo, se vogliamo, un ennesimo costo della politica. E chi può difenderci da questa nuova degenerazione assistenzialista? Da queste parti verrebbe da dire la Lega, se non fosse che il Carroccio non è più partito di rottura, ma è parte fondamentale di una maggioranza che, nel suo governare con il metodo della ricerca del consenso, ha fatto e continua a fare degli equilibrismi e dei compromessi il proprio modo di tirare avanti.
Il vero problema che il parlamento dei nominati, asserviti al capo e non espressione dei loro elettori, non ha strumenti per proteggere i cittadini contribuenti dagli sprechi della partitocrazia. Senza una riforma che metta al centro il rapporto fra eletto ed elettori, con il primo espressione territoriale del collegio e chiamato a rispondere del suo operato ai secondi e non alle segreterie di partito, non c’è Lega che tenga: i ricatti della “grande politica” continueranno, facendo pagare a noi il conto salato e sacrificando gli interessi generali del Paese sull’altare delle pressioni di questa o quella cordata localista.
Risultato: a Nord riprenderà fiato e forza l’antimeridionalismo, a sud si ricostituiranno le clientele. In mezzo ci stiamo noi, alle prese con la crisi e un bilancio nazionale che non ha soldi per farcela affrontare come si deve.
Se il resto della politica, dal Pd alla Pdl pensando per il Centro, non svolterà verso una riforma federale non solo dello Stato ma anche di sé stessa, mettendo cioè i territori, gli elettori e i politici locali nel ruolo di protagonisti, si lascerà alla Lega il monopolio nel frenare il neo assistenzialismo meridionalista. Sapendo però che, in fondo, al partito di Bossi il rifiorire della stagione delle casse del mezzogiorno può, elettoralmente, fare molto comodo, dato che sarebbe un argomento in più da usare per distinguersi e mettersi in mostra.
Fa invece molto male al resto del Paese, che di tutto ha bisogno fuorché di una nuova era di assistenzialismo sprecone, quello per intenderci delle pensioni di invalidità date ai ciechi che guidano i taxi.
Se la questione meridionale non svolta ma continuerà ad essere gestita alla solita maniera, i danni non saranno solo economici, ma anche morali, perché si alimenterà ancora di più, qui a Nord, la preoccupante e crescente disaffezione, che è la strada maestra al populismo demagogico.
Solo l’idea federale della politica e una riforma elettorale che faccia tornare la preferenza possono permettere all’Italia di andare avanti e di evitare quella secessione delle coscienze che è molto più vera e pericolosa della folcloristica secessione della Padania.

giovedì 16 luglio 2009

DELIBERE DI INIZIATIVA POPOLARE: A TREVISO LA LEGA NON LE VUOLE

La Lega, complice la più totale indifferenza della Pdl, ha affossato l’introduzione, anche nella città di Treviso, delle Proposte di Deliberazione di Iniziativa Popolare, massacrando il testo della delibera consigliare discussa in commissione per la variazione dello Statuto, vittima di emendamenti che sono delle bestialità formali e sostanziali. Evidentemente hanno paura della partecipazione popolare, ma è anche vero che non hanno neppure provato a capire di che cosa si tratta Così, ieri, in Commissione Statuto, quando si trattava di esaminare la mia proposta per introdurre questo strumento di democrazia diretta nella mia città, si è finito che sul testo conclusivo, pesantemente e profondamente modificato dalla maggioranza, tutte le liste di opposizione hanno espresso voto contrario.
Nessuno della maggioranza si è preso la briga di leggere approfonditamente e capire la proposta di modifica dello Statuto tanto che hanno scambiato le delibere di iniziativa popolare con il referendum, arrivando a infarcire il testo di assurde esclusioni su materie di competenza consiliare, ovvero proprio l’oggetto delle delibere stesse. Il capolavoro delle castronerie è l’esclusione, pretesa dalla Lega, delle materia di “competenza dello Stato e delle Regioni”. Ma che c’azzeccano lo Stato e la Regione con le delibere comunali di iniziativa popolare?.
Adesso mi rifiuto di presentare in Consiglio Comunale un testo farsa, ridotto ad una buffonata di facciata con il chiaro intento di rendere impossibile l’esercizio del diritto, tanto che il Carroccio ha voluto elevare da 350 a 2 mila le firme necessarie per la presentazione delle delibere (ed escludendo le delibere di iniziativa popolare per la modifica dello Statuto), cioè tante quante ne servono a Torino, che ha quasi un milione di abitanti, mentre Treviso non arriva a 100 mila. Quella non è una soglia ragionevole, come è stato detto in Commissione, ma il tentativo di fare ostruzionismo alla democrazia diretta, rendendo impossibile la raccolta delle firme. Basti pensare che a Roma, con più di due milioni e mezzo di abitanti, per la presentazione delle delibere di iniziativa popolare di firme ne bastano 5 mila. Il risultato di questo pasticciaccio è stato che in Commissione Statuto hanno costretto me, che ero il presentatore della delibera di modifica dello Statuto, a esprimere voto contrario. Il nuovo atto, che è una vera presa in giro della cittadinanza, se lo presentino in Consiglio e se lo votino loro.
Insomma,non è vero che la partitocrazia è morta: l’arroganza di una certa politica che pensa solo al potere vive ed è in piena salute, incarnata in questa città dall’atteggiamento della Lega Nord. Alla partecipazione responsabile e costruttiva dei cittadini alla buona amministrazione, al rapporto trasparente e democratico con la popolazione la “Casta di Ca’ Sugana” preferisce evidentemente i ricevimenti dei singoli a porte chiuse nelle stanze del sindaco e degli assessori. E preferiscono il conflitto con i Comitati, perché è nel confronto sguaiato che la Lega si sente più a suo agio. A questa maggioranza non basta governare e amministrare, loro vogliono comandare. Non vogliono cittadini, ma sudditi: è’ per questo che rifiutano il dialogo e si oppongono agli strumenti partecipativi che oramai sono diventati strumento comune e molto utilizzato in quasi tutte le principali municipalità italiane.
Ma la cosa più scandalosa è che a guardare le modifiche introdotte, che stravolgono il senso del provvedimento e lo svuotano di significato, si capisce non solo l’atteggiamento di chiusura ideologica, ma anche il fatto che nessuno della maggioranza si è davvero preso la briga di leggere con attenzione la delibera e di capire di che cosa si stava parlando. Il blitz in commissione è soltanto il risultato di un arrogante diktat politico arrivato dall’alto. Ci hanno fatto però la figura degli improvvisati e sprovveduti, questa città meriterebbe una classe politica migliore.

giovedì 9 luglio 2009

BADANTI, UNA DISCUSSIONE SU FACEBOOK

Paolo Camolei: per il Ministro Tremonti la disoccupazione è un falso problema. E quale è, allora, quello vero?
Ieri alle 15.31 · Commenta · Mi piace

Denis Barea alle 15.31 del 08 luglio
lui?

Alessandro Boggian alle 15.44 del 08 luglio
normale che per lui non sia un problema..il posto di lavoro sicuro e lo stipendio più che abbondante ce li ha..

Arthur Carponi Schittar alle 15.44 del 08 luglio
Già... E se parlassero un po' delle prospettive dei giovani tra i 20 e i 35, intrappolati nella morsa del lavoro interinale, dei contratti a progetto, dei co.co.co, no? Male non farebbe, forse. Ma immagino che ci siano problemi molto più importanti, sia per la destra che per la sinistra: Noemi, la D'Addario, adesso Salvini.

Denis Barea alle 15.49 del 08 luglio
osteria numero 20...paraponzi ponzi po'.....

Ornella Masciotti alle 16.09 del 08 luglio
...e se parlassero degli over 45, senza più un lavoro, figli e moglie da mantenere, mutuo etc.....????

Alfonso De Marchi Scalabrio alle 16.32 del 08 luglio
...e se parlassimo e soprattutto ricordassimo i nostri genitori che pur di lavorare andavano in motorino da treviso a padova,vicenza ecc... magari anche sotto la pioggia(mio padre), e visto che negli anni sessanta (almeno noi ) il telefono non lo avevamo, spesso arrivava sul posto e lo rispedivano a casa perch... Visualizza altro

Ornella Masciotti alle 16.53 del 08 luglio
e se parlasdimo di chi non ha una lira,50 anni di esperienza, disposto anche a spostarsi, ma non lo vogliono perchè si spende meno a prendere uno stagista o uno di 29 anni inquadrandolo come apprendista?

Denis Barea alle 16.53 del 08 luglio
e se parlassimo di tutti quelli che, l'ultima volta, hanno votato sbagliato?

Ornella Masciotti alle 16.55 del 08 luglio
e se parlassimo di tutti quelli che hanno provato a votare entrambi ma non hanno avuto niente da nessuno?

Denis Barea alle 16.56 del 08 luglio
ecco, parliamone. da qualche parte dovremo pur cominciare, no?

Ornella Masciotti alle 16.57 del 08 luglio
non credo più a nessuno....solo interessi personali in politica, e basta!

Denis Barea alle 17.00 del 08 luglio
e secondo te, se ci mettiamo io e te e qualche altro qualche cosa cambia? Noi abbiamo il DIRITTO a far s... Visualizza altro

Ornella Masciotti alle 17.05 del 08 luglio
partecipare...mi ricorda i miei anni di gioventù...e non mi pare le cose siano cambiate molto...se permetti li mando tutti a cagare (scusa il francesismo)

Denis Barea alle 17.09 del 08 luglio
moriremo svuotati e leggeri, ma sfiniti a furia di lamentarci....

Ornella Masciotti alle 17.13 del 08 luglio
non mi lamento più...ormai sono rassegnata...forse solo una rivoluzione....

Denis Barea alle 17.14 del 08 luglio
la rivoluzione si fà ogni giorno, un gesto e una parola alla volta....convinceremo anche camolei....:-)

Alfonso De Marchi Scalabrio alle 17.14 del 08 luglio
....ingegno, mollllllta grinta, sacrificio, che tornino pure i calli sulle morbide mani e soprattutto poche chiacchiere!

Denis Barea alle 17.15 del 08 luglio
sono d'accordo. magari anche meno r moscie al tesoro, meno troie al governo, meno pippaioli all'opposizione. Basta non votarli.....

Ornella Masciotti alle 17.17 del 08 luglio
Infatti...quando votammo a sinistra...che pacchia!!! Bah...tutte parole...la politica è tutta parole e niente fatti (x noi: x loro, invece....tutti i privilegi possibili...)

Denis Barea alle 17.18 del 08 luglio
detto questo, che si fa? che gli diciamo a sto camolei, che fa tanto casino per il dalai lama e propone anche le delibere di inziativa popolare a TReviso? lasciamo che si faccia strada tra i privilegi o a quelli come lui chiediamo e proponiamo qualche cosa?

Ornella Masciotti alle 17.19 del 08 luglio
che facciano come vogliono...mi danno la nausea...

Denis Barea alle 17.19 del 08 luglio
bandiera bianca?

Ornella Masciotti alle 17.20 del 08 luglio
da un bel po'....

Denis Barea alle 17.22 del 08 luglio
peccato

Elena Marasciulo alle 17.35 del 08 luglio
perchè non ricordiamo allora al signor tremonti che l'ultima volta che stavano al governo inneggiavano alla FLESSIBILITA' che c'era in Spagna, dove adesso c'è il più alto tasso di disoccupazione d'Europa? ah, dimenticavo, essendo un falso problema, in Spagna possono stare tranquilli....

Denis Barea alle 17.37 del 08 luglio
olè!

Elena Marasciulo alle 17.45 del 08 luglio
anca i tori se lamenta!

Denis Barea alle 17.45 del 08 luglio
però non capisco: tutti si lamentano, poi tutti a fare una bella ritirata.....

BADANTI IN NERO, IL DITO E LA LUNA


C’è da dubitare che vi possa essere un provvedimento ad hoc per “sanare” la situazione delle badanti irregolari. Come potrebbe infatti la Lega, dopo aver fatto la voce grossa e aver ottenuto il doppio giro di vite sull’immigrazione nel pacchetto sicurezza, fare due o tre passi indietro?
Quindi chi resterà escluso dalle programmazioni del prossimo decreto flussi finirà per ritrovarsi clandestino e quindi, come dice il decreto, diventerà un criminale.
Chi oggi si appella a revisioni del decreto sicurezza, magari perché incalzato dalle critiche della Chiesa, poteva francamente svegliarsi prima. Come giustamente ha già detto qualcuno, dove erano i cattolici della maggioranza, oggi prodighi di consigli riparatori e anche di critiche, quando il decreto è stato scritto, discusso e votato? Insomma: chi rompe paga, e i cocci sono suoi. E la Lega non accetterà di rientrare nel mucchio della vecchia politica, quella che “fatta la legge, trovato l’inganno”, perché della questione sicurezza e immigrati e sull’atteggiamento di estrema durezza sul punto ha costruito una battaglia politica sostanziale, che le serve per mantenere, nel centrodestra, una identità e una riconoscibilità precisa.
La vicenda del decreto, della criminalizzazione della clandestinità in quanto tale e della conseguente stretta sulle badanti in nero, non è però qualche cosa che ha a che fare solo con la gestione dell’immigrazione. Il dito delle badanti indica infatti la luna del fallimentare, o se si preferisce inesistente, welfare italiano. Un welfare la cui assenza costringe i cittadini e le famiglie ad arrangiarsi, secondo la più italica delle tradizioni.
Chi scopre oggi il “bubbone” delle badanti in nero è un ipocrita. Che funzioni così lo si sa da sempre, praticamente da quando le badanti hanno cominciato ad arrivare. Per anni ci siamo messi una mano davanti agli occhi per tollerare non solo il lavoro abusivo, ma il fatto che questa società lascia a se stessi gli anziani e più in generale i cittadini in stato di bisogno e di assistenza. Lo Stato italiano, così prodigo di parole quando si tratta di parlare di famiglia e così vergognosamente assente quando si deve fare davvero qualche cosa per sostenerla, ha affidato al mercato la soddisfazione del bisogno di curare e assistere, spesso con orario continuato, i nostro genitori e i nostri nonni.
Una bella riconoscenza davvero per quelle persone che, per tutta la vita, hanno supplito alle manchevolezze dello stato sociale, generoso con i finti invalidi e tirchio invece con i cittadini per bene. Il risultato è che troppo spesso le famiglie sono costrette a sobbarcarsi in proprio il compito e i costi di essere una rete di protezione naturale e necessariamente sostitutiva del welfare universalistico di cui si sente sempre più bisogno: si assistono i figli giovani, che non trovano lavoro o lo hanno precario e mal pagato. Poi ci si occupa della cura dei figli dei nostri figli, perché posti negli asili nido ce ne sono pochi e se ci sono, spesso sono solo nelle strutture private che costano una fortuna. Infine, arrivati al momento del bisogno, i genitori diventati anziani da assistere devono per forza affidarsi, a loro volta, a qualcun altro, cioè alla brava e leale signora dell’Est, magari a digiuno di qualsiasi nozione infermieristica di base.
Non serve scomodare lo stato babysitter per immaginare che, invece, quella filiera del bisogno, che gli italiani risolvono con il fai da te, dovrebbe essere l’oggetto di un sistema di welfare efficiente, che non abbandona le famiglie a se stesse e che non lasci al mercato, cioè il luogo dove si fanno profitti e non socialità e assistenza, il compito di soddisfare bisogni primari.
Il dito delle badanti in nero e dei problemi delle famiglie che dovranno metterle in regola (forse) se ne hanno le possibilità ma che adesso temono di autodenunciarsi, indica la luna del più generale nodo dell’assistenza, del welfare, del modo di intendere l’assistenza, di essere società che promuove e tutela la persona.
Questa vicenda, che al di là delle valutazioni sull’atteggiamento nei confronti dei migranti mette anche a nudo il modo confusionale e spesso propagandistico con cui la politica italiana scrive le leggi e regola la convivenza, potrebbe quindi servire a rendere più consapevole l’opinione pubblica su un problema sociale il cui valore va ben al di là della sicurezza che si vorrebbe imporre a colpi di nuovi reati da scrivere nel codice penale e con la gestione con il pugno di ferro e i cavalli di frisia del fenomeno migratorio.
Si tratta di vedere se sapremo guardare alla luna, invece di fissarci solo sul dito.

giovedì 2 luglio 2009

SE QUESTA E' SICUREZZA, A FUROR DI POPOLO

Pochi di noi se lo ricordano, lo abbiamo letto sui libri di scuola. Ma nell'america del sud, intendo gli stati meridionali degli Stati Uniti, sapete come si giustificava la segegreazione razziale negli anni '50? Con esigenze di sicurezza. I negri (sì, i negri) erano infatti "corrotti, stupratori, ladri, portatori di sporcizia e malattie, cattivi lavoratori, inaffidabili, falsi e miscredenti".
Tolta la miscredenza, mi pare che ci siano tutti, o gran parte, degli aggettivi che oggi vengono rivolti agli immigrati e cioè tutto l'impianto ideologico che sta alla base di quella parte del decreto sicurezza che riguarda l'immigrazione.
Io non ho mai visto con simpatia le teorie e le posizioni terzomondiste, quelle cose del tipo "noi li abbiamo sfruttati per anni, adesso dobbiamo dare qualche cosa in cambio". Non esiste, da parte di un paese, l'obbligo a ricevere gli immigrati, anche se penso ci sia l'obbligo morale di fare sì che la condizione umana, nel mondo, sia la più giusta possibile, anche senza inseguire chimere o falsi miti.
Ma c'è una grande differenza dal dire che in Italia serve una legislazione attenta a tutto, quando si parla di immigrazione, e questo pateracchio di norme e normacce, guidate solo dal sentimento, purtroppo diffuso, di xenofobia e fastidio per gli stranieri.
Non penso tanto al reato di clandestinità, che comunque secondo me è inutile, quanto alla parte di applicazione, quella che riguarderà i clandestini malati, i figli dei clandestini e quindi essi stessi clandestini. Essere clandestino non è sempre essere un delinquente. Il più delle volte è essere un disperato. C'è una umanità di fondo che va usata anche nei confronti di chi non ha le carte in regola per stare nel nostro paese. E' una umanità che, a furor di popolo, questo pacchetto sicurezza non rispetta minimamente. E' solo una legge punitiva, che fa felici i tanti, dalle mie parti qui al Nord, che se ne fregano che, nei fatti, si stia parlando di persone molto spesso indifese, disperate, in una condizione di povertà e indigenza che noi non riusciamo neppure a immaginare. Rispetto alle quali va certo applicata una legge giusta che consenta di mettere regole da rispettare, ma anche che guardi all'integrazione. Perchè questi migranti non sono soltanto "corrotti, stupratori, ladri, portatori di sporcizia e malattie, cattivi lavoratori, inaffidabili, falsi e miscredenti". Sono persone, sono uomini, donne e famiglie che, senza saperne più di tanto, scappano e vagano alla ricerca di una vita con la V maiuscola. Sono come tanti nostri nonni, nonne e padri e madri, emigranti e pieni di speranza, scambiati per cenciosi e mafiosi, puzzolenti maltrattatori dei figli. Sono gli ultimi del mondo. E per ultimi, mi pare, li vogliamo lasciare.

lunedì 29 giugno 2009

FACEBOOK E DINTORNI

L'altro giorno ho messo, sul mio stato in facebook, tre domande rivolte alla comunità di amici. Solo una persona mi ha risposto, ma credo che i suoi commenti meritino di essere pubblicati anche qui.

Le mie tre domande erano:
Tra il Pd di Bersani o Franceschini, di cui non si capisce bene la linea politica, e la Pdl del Berlusconi di oggi, in deficit di liberalismo, che spazio c'è, se c'é, per un soggetto terzo, moderato e riformatore? Il referendum ha davvero bocciato il bipartitismo? Quali valori e quali istanze oggi non sono rappresentate dal bipolarismo muscolare destra-sinistra, pur essendo i bisogni della maggioranza degli italiani?

Queste sono le risposte di Donatello Negrisolo (http://www.facebook.com/profile.php?id=1186447846&ref=profile#/profile.php?id=1561312148&ref=mf)

Uno spazio potrebbe esserci se nel centro-destra ci sarà un "fuggi fuggi" ...
http://www.ft.com/cms/s/d0170a52-6120-11de-aa12-00144feabdc0,Authorised=false.html?_i_location=http%3A%2F%2Fwww.ft.com%2Fcms%2Fs%2F0%2Fd0170a52-6120-11de-aa12-00144feabdc0.html%3Fnclick_check%3D1&_i_referer=http%3A%2F%2Fwww.repubblica.it%2F2009%2F06%2Fsezioni%2Fpolitica%2Fberlusconi-divorzio-10%2Frassegna-25%2Frassegna-25.html&nclick_check=1

Non penso che il referendum abbia bocciato il bipartitismo.Temo che la questione sia molto più "terra terra": il livello medio culturale si è talmente abbassato che molti cittadini non capiscono più i contenuti dei quesiti referendari.

La 3a domanda è sicuramente la più impegnativa e la più interessante.Una delle istanze potrebbe essere il CAMBIAMENTO reale della classe dirigente.Quello del centro-destra è un cambiamento fittizio,ma è percepito come reale dalla società.Il cambiamento del centro-sinistra è talmente ipocrita e sterile che viene percepito tale qual è.
Uno dei valori di cui si avverte l'assenza è la schiettezza,tanto nei "big" locali che nazionali.