mercoledì 4 febbraio 2009

PRIMA LA CASTA, POI LE FAMIGLIE


(il mio editoriale di oggi su La Tribuna di Treviso)

Sulla questione dei mancati, o in ritardo, finanziamenti pubblici alle scuole paritarie, sarà bene mettersi al riparo dal rischio di impantanarsi nella polemica “privata sì, privata no”, tenuta in piedi da quella disposizione costituzionale secondo cui in Italia esiste la libertà di educazione, e quindi anche di costituire scuole, purché senza oneri per lo Stato.
Farne una faccenda di rango costituzionale, un’altra bella baruffa tra “laicisti” e “clericali” (visto che il 60% delle scuole paritarie sono cattoliche) sposta il problema su un piano che non è sostanziale. Semmai il nodo sono le famiglie, la loro prosperità, i costi di cui devono sobbarcarsi, che crescono mentre cala il lavoro.
La sostanza, ad esempio, è che le scuole paritarie di primo grado, cioè gli asili, ospitano la maggior parte dei bambini che frequentano le materne: 7 su 10, per l’esattezza. La ragione è semplice: lo Stato gli asili non li fa! Per questo grado dell’istruzione, insomma, la libertà di scelta di fra pubblico e privato praticamente non esiste. E’ una questione in sé? Io penso di sì.
Nel 2000 il governo D’Alema regolamentò le scuole paritarie, fissando i criteri perché potessero dirsi tali e quindi fare parte a pieno titolo, con quelle statali, del sistema nazionale di istruzione. Siccome ne venne riconosciuta la funzione pubblica, fu anche articolato il complesso dei finanziamenti: 347 miliardi di lire, all’epoca, pari a 179 milioni di euro, di cui 280 miliardi di lire, quindi circa 140 milioni di euro, per le materne.
E’ un dato giuridicamente incontrovertibile, perché legge dello Stato, che le scuole paritarie, anche gli asili che sono quasi esclusivamente parrocchiali, fanno parte del nostro sistema della scuola e quindi sono degni di ricevere finanziamenti.
Il fatto che queste scuole oggi si trovino costrette ad aumentare perché non finanziate nei termini di legge le rette ha conseguenze dirette sui bilanci delle famiglie. E anche degli enti locali. Le prime, se chiamate alla compartecipazione della spesa o a sostenerla tutta sulla base dei criteri adottati per gli aiuti a chi ha redditi medio bassi, si vedranno scivolare via dalle tasche fino anche a 400 euro all’anno. I secondi dovranno aumentare la quota di contribuzione sostitutiva rispetto a quanto dovrebbero pagare i poveri o quasi poveri, che invece giustamente non pagano. Il saldo, in tempo di crisi nera per i bilanci delle famiglie, è negativo comunque la si veda.
Che poi gli aumenti delle rette dipendano dal fatto che lo Stato e le Regioni – i Comuni invece pagano – si “dimentichino” di onorare i finanziamenti previsti dalla legge, rende tutta questa vicenda ancora più sgradevole.
Il vero problema è che da noi, quando si parla di famiglia, non si riesce mai ad andare alla sostanza. Tanti paroloni ma poi si scopre che ad assegni famigliari, nella Ue, ci battono tutti; cha a sgravi fiscali, sempre nell’Unione, stiamo sopra solo a Grecia e Portogallo. E anche nel sostegno alle scuole “paritarie”, anche le superiori, siamo superati di gran lunga da Portogallo, Spagna, Gran Bretagna, Germania, Francia, Austria e Svezia. Allegria!
A qualcuno interessa che le famiglie, a causa dei problemi economici provocati dallo Stato – a causa dei tagli – dovranno pagare di più per mandare i figli a scuola? Non mi pare. Prepariamoci allora all’ l’ennesimo balzello in più, malgrado le paritarie svolgono un ruolo fondamentale ed eroghino formazione e educazione ad una platea di bambini e ragazzi che, se si riversassero sulle statali, costerebbero all’erario sei miliardi in più di spesa scolastica all’anno.
Non si può non dare ragione a Don Carlo Velluto, coordinatore delle scuole materne paritarie di Treviso. Ma purtroppo noi e Don Carlo dobbiamo arrenderci all’evidenza: queste non sono priorità.
La politica ha altro per la testa: limitare le intercettazioni ai danni di chi delinque, fare accordi a voce bassa sulle leggi elettorali. E difendere, ostinatamente e in maniera trasversale, la casta.
Quanto ci costano le province, ad esempio, ce lo siamo già detti. Quanto utili (o inutili) siano lo sappiamo. Ma sono la cittadella di tante piccole, e locali, classi politiche e di potere e per questo il salvagente di cui godono, malgrado le sbandierate intenzioni di sopprimerle, è trasversale, bi e anche tripartisan.
Si possono eliminare posti di lavoro, aziende, si possono mortificare i precari bilanci famigliari, come ad esempio con la pistola puntata degli aumenti della spesa scolastica. Ma la casta, la nuova aristocrazia della democrazia decadente, se ne frega. E’ il riparo da tutto e da tutti. Governa per slogan, proclami e fa tante promesse. Il problema è che noi cittadini comuni, quelli più o meno ricchi come quelli più o meno poveri, ci caschiamo sempre.

Paolo Camolei

1 commento:

  1. Non so se i numeri che lei fa sono giusti (i sei miliardi di cui parla) ma la costituzione parla chiaro, come lei stesso ammette: SENZA oneri per lo Stato. Questa storia della scuole parificate è solo un trucco per dare soldi al clero, che nelle sue scuole indottrina i ragazzi a non essere buoni cittadini e magari a fare resistenza contro le leggi dello Stato: aborto, divorzio e, speriamo, il testamento biologico.
    Sono d'accordo con lei che prima viene la casta, poi le famiglie. Ma la casta è anche quella del clero e del vaticano, piena di privilegi.

    Antonella Dozzo
    Quinto di Treviso

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