venerdì 13 febbraio 2009

ELUANA, DOPPIA INVASIONE (il mio editoriale di oggi su La Tribuna di Treviso)

Il caso di Eluana Englaro è il segno, comunque la si pensi, di una doppia, pesantissima invasione di campo sulla vita. Una entrata con il piede a martello, si direbbe nel linguaggio calcistico, compiuta da un lato dalla scienza, dall’altro dalla politica.
Il progresso della medicina e delle conoscenze tecnologiche è certamente un fatto positivo; oggi sono guaribili malattie che non lo erano 20 anni fa. Ci sono situazioni di grande gravità a cui si può porre rimedio. E’ possibile, evidentemente, dare più speranza alla vita. Il rischio è però anche quello di creare delle figure intermedie, di essere umano e di vita stessa. Senza rispondere alla domanda: ma che cosa è davvero la vita, e soprattutto la vita umana?
La questione morale che ha che fare con questa vicenda e le tante altre simili, di cui poco o nulla si parla e si dice, è delicata e il tema merita una discussione scientifica ma anche tanto umana. Perché è giusto applicarsi e battersi quando c’è speranza; ma di fronte ad un destino fatale e certo, senza possibilità di tornare indietro, quando la vita è la finzione che ci inventiamo per consolarci di un corpo inanimato, la scelta di una “non sofferenza” è e resta una scelta, e non merita di essere degradata, a mo’ di insulto morale, a suicidio o eutanasia.
Comunque la si pensi, sono temi delicatissimi che chiedono l’applicazione dell’intelligenza, non del cinismo. E qui arriviamo alla seconda invasione di campo: quello della politica.
Come cittadino, come uomo qualunque, mi sento francamente disorientato, turbato e confuso dal modo con cui la politica si è impadronita della vicenda di Eluana Englaro. Se ne è impadronita non per assolvere al ruolo di regolatore, in nome e per conto della società, delle vicende umane, ma per declinarla al modo della politica italiana di questi tempi: il modo peggiore.
Sono mesi che in parlamento giace un progetto di legge sul cosiddetto testamento biologico. Evidentemente i sondaggi dicevano però che non era una questione che stava in testa alla lista delle priorità dell’elettore-consumatore. Quindi la questione è stata lasciata lì. Poi, d’improvviso, quando il “fatto” è divenuto di straordinaria e terribile attualità, ecco scattare una gara, tutta elettorale e tristemente bipartisan, a raccattare voti. Ne è venuto fuori un pasticcio istituzionale indegno di un paese democratico e liberale del primo mondo.
Ora penso sia quasi impossibile che questo Parlamento, in queste condizioni, possa partorire una buona legge sul fine vita. Il buon senso, da una parte e dall’altra degli schieramenti, è in minoranza. Prevale invece l’opportunismo di fare di ogni occasione quella buona per imporre la politica che oggi piace fare di più: quella della rottura, del muro contro muro, gli appelli al “con me o contro di me”. La politica della costituzione da cambiare a piacimento come si trattasse di un paio di mutande, del facile e ridicolo allarme sul golpe, delle emozioni private ostentate pubblicamente per far quadrare il calcolo delle convenienze.
Non stupiamoci: abbiamo voluto la politica del candidato, perché i partiti erano un male. Eccoci serviti: oggi non si mettono al confronto le idee, ma l’appeal personale del candidato, del segretario di partito, del premier come del leader dell’opposizione. Ne viene fuori una baruffa tra aspiranti “prime donne”, più simili, a dire il vero, a galline che si contendono i favori del gallo elettore.
Per non passare da gallo a pollo, il cittadino oggi è chiamato ad uno sforzo di memoria, che dovrà essere anche sforzo di informazione ed educazione per i più giovani. Per non cadere nell’inganno, mentre fuori infurierà la tempesta con toni da crociata, dobbiamo aggrapparci a quelle stagioni di grande passione che coincisero con le battaglie, accese ma civili, su divorzio e aborto. Erano altri anni, ma erano temi che per i tempi dividevano e laceravano tanto quanto, se non di più, la questione del fine vita.
Era una contrapposizione aspra, ma istituzionalmente composta e rispettosa delle regole e della dignità dell’avversario.
Di tutto questo oggi non c’è più traccia. Per convincere non ci si affida più alla forza delle idee, ma al degrado delle parole. Vince chi insulta di più, chi urla di più. La ragione si misura sulla lunghezza di un articolo o di un servizio al tiggì.
Penso che la vicenda di Eluana avrebbe meritato di essere ricordata nell’intimità personale di ciascuno di noi per quello che è: una tragica e umana storia vita che ci pone di fronte a domande a cui non credo che riusciamo a dare facilmente risposta. Poteva, forse doveva, porre anche nella società una questione oramai attualissima che non può più essere evitata.
Purtroppo resterà impressa nella memoria di tanti di noi per essere stata l’ennesima occasione in cui la politica italiana ha fatto l’unica cosa che da tempo riesce a fare, cioè dare il dare il peggio di sé.

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