mercoledì 11 marzo 2009

LE AMNESIE DELLA LEGA (il mio editoriale di oggi su Tribuna di Treviso)

Non può passare inosservata la critica che il presidente della Provincia di Treviso ha mosso su questo giornale al Governo per la scarsa attenzione alle questioni che riguardano il Nord Est, soprattutto in questa fase di crisi.
Non deve passare inosservata, perché l’amico Muraro è un rappresentante istituzionale, il presidente dell’Ente provincia di una delle aree economicamente più vitali dell’intero paese. E perché si tratta di un esponente della Lega Nord, quindi uno dei partiti azionisti di maggioranza di questo esecutivo.
A Muraro verrebbe da dire che le sue, peraltro giuste, lamentele dovrebbero essere mandate per raccomandata proprio al Carroccio. Del resto, se il Nord viene dimenticato, e la Lega è proprio il Nord che vuole rappresentare, chi può essere il primo responsabile di queste “disattenzioni” romane? Delle due l’una: o è condivisa la linea della maggioranza, o viene subita. E siccome è un leghista a dire che il Governo non fa abbastanza, la scelta fra le due possibilità fa la differenza del doppio.
Che il Nord non sia oggetto di dovute attenzioni, né lo sia stato con il precedente esecutivo (e non va dimenticato che in passato più di qualche ministro ci ha fatto passare tutti per padronacci evasori) è un dato di fatto. Pensiamo al lavoro: si fatica ad allargare il welfare a quelle figure che sono prevalenti proprio da queste parti, ad esempio i lavoratori delle piccole o piccolissime imprese. Oggi, complice la crisi, qualche provvedimento straordinario è stato adottato. Ma sono decenni che si parla del modello di sviluppo del capitalismo diffuso e familiare ma si continua a dare la cassa integrazione praticamente soltanto alle grandi imprese, che qui sono pochissime. Né si è fatto nulla per la dignità sociale dei piccoli imprenditori, il popolo delle aziende unipersonali e delle ditte individuali. Lavoratori, in proprio, senza assegni familiari, senza paracaduti sociali. Padroni, si potrebbe dire, e per questo in grado di badare a se stessi. Ma ragionando così si dimostra di non aver capito nulla del Nord Est.
C’è poi la partita delle grandi opere, che per chissà quali strani motivi sembrerebbero essere solo strade per il sud, ponti per il sud, autostrade del sud. Per non parlare dei favolosi regali ai Comuni, ancora del centro sud, che hanno fatto baldoria con i soldi dei contribuenti, scavato voragini nei loro bilanci e che poi hanno chiesto, e ottenuto, di ripianare i loro debiti a spese di tutti noi.
Dei 17,8 miliardi destinati alle grandi opere, per un intervento che cerca di rilanciare un po’ dell’ economia, sostiene Muraro che per noi c’è poco. Anzi, dice il bravo presidente della Provincia, non c’è nulla: restiamo, cito, “a bocca asciutta”.
Peccato. Perché di implementazione e miglioramento delle infrastrutture, da queste parti, ce n’è bisogno. Lo sappiamo tutti e da tanto tempo: abbiamo o non abbiamo una rete stradale obsoleta, che penalizza la vitalità del tessuto economico?. E’ arrivato il Passante, non dimentichiamolo, ma guai a pensare che basti. Dovrebbe essere il primo pezzo del più ampio ridisegno del sistema infrastrutturale, aeroporti, porti e collegamenti ferroviari compresi, non una perla buttata nel porcile.
Ma lamentarsi non serve poi a molto se non si va alla radice delle questioni. Se le cose stanno come dice Muraro, perché la Lega, il partito “nazionale” del Nord, non è riuscita a strappare di più? Forse perché a Roma si sta giocando, con la crisi sullo sfondo (e non è cosa da poco) una partita politica gigantesca e complicata. Che fa dimenticare tante cose: ad esempio la battaglia del Carroccio nel 2005 contro il Ponte sullo stretto, l’urgenza di intervenire sugli studi di settori, che penalizzino, tanto più con la crisi, quel blocco sociale che aveva guardato proprio alla Lega nella speranza di “rifare” lo Stato italiano. Ed è una partita in cui entra anche la riforma del federalismo, che secondo tanti verrà derubricata e depotenziata in estate, quantomeno allungata nei tempi di attuazione, a causa delle crisi del bilancio dello Stato, destinato a subire un forte contraccolpo dalla riduzione delle entrate a causa delle recessione.
Una via di uscita ci sarebbe: essere un po’ meno “romani”, un po’ meno governativi e un po’ più attenti ai propri territori. Nello stile, mi permetto di dire, del movimento dei sindaci del 20%, trasversale e che non guarda in faccia nessuno. Guardare ai propri interessi non è egoismo, ma un atteggiamento responsabile nei confronti di quelle comunità, di quelle imprese, di quell’area geografica, a cui ancora una volta si chiede ingiustamente di pagare il conto del lauto pranzo di altri.
L’arma da caricare, inutile dirlo, è quella elettorale: la stessa con cui in passato abbiamo cercato di mandare segnali al pessimo centralismo romano. Al prossimo giro di elezioni, se solo volessimo prestare un po’ più di attenzione a quello che ci succede intorno e che succede a casa nostra, sarebbe più difficile per lorsignori confonderci e blandirci. A cominciare da quando ci dicono che dobbiamo essere padroni a casa nostra. Padroni sì, ma di fare cosa?

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