giovedì 9 luglio 2009

BADANTI IN NERO, IL DITO E LA LUNA


C’è da dubitare che vi possa essere un provvedimento ad hoc per “sanare” la situazione delle badanti irregolari. Come potrebbe infatti la Lega, dopo aver fatto la voce grossa e aver ottenuto il doppio giro di vite sull’immigrazione nel pacchetto sicurezza, fare due o tre passi indietro?
Quindi chi resterà escluso dalle programmazioni del prossimo decreto flussi finirà per ritrovarsi clandestino e quindi, come dice il decreto, diventerà un criminale.
Chi oggi si appella a revisioni del decreto sicurezza, magari perché incalzato dalle critiche della Chiesa, poteva francamente svegliarsi prima. Come giustamente ha già detto qualcuno, dove erano i cattolici della maggioranza, oggi prodighi di consigli riparatori e anche di critiche, quando il decreto è stato scritto, discusso e votato? Insomma: chi rompe paga, e i cocci sono suoi. E la Lega non accetterà di rientrare nel mucchio della vecchia politica, quella che “fatta la legge, trovato l’inganno”, perché della questione sicurezza e immigrati e sull’atteggiamento di estrema durezza sul punto ha costruito una battaglia politica sostanziale, che le serve per mantenere, nel centrodestra, una identità e una riconoscibilità precisa.
La vicenda del decreto, della criminalizzazione della clandestinità in quanto tale e della conseguente stretta sulle badanti in nero, non è però qualche cosa che ha a che fare solo con la gestione dell’immigrazione. Il dito delle badanti indica infatti la luna del fallimentare, o se si preferisce inesistente, welfare italiano. Un welfare la cui assenza costringe i cittadini e le famiglie ad arrangiarsi, secondo la più italica delle tradizioni.
Chi scopre oggi il “bubbone” delle badanti in nero è un ipocrita. Che funzioni così lo si sa da sempre, praticamente da quando le badanti hanno cominciato ad arrivare. Per anni ci siamo messi una mano davanti agli occhi per tollerare non solo il lavoro abusivo, ma il fatto che questa società lascia a se stessi gli anziani e più in generale i cittadini in stato di bisogno e di assistenza. Lo Stato italiano, così prodigo di parole quando si tratta di parlare di famiglia e così vergognosamente assente quando si deve fare davvero qualche cosa per sostenerla, ha affidato al mercato la soddisfazione del bisogno di curare e assistere, spesso con orario continuato, i nostro genitori e i nostri nonni.
Una bella riconoscenza davvero per quelle persone che, per tutta la vita, hanno supplito alle manchevolezze dello stato sociale, generoso con i finti invalidi e tirchio invece con i cittadini per bene. Il risultato è che troppo spesso le famiglie sono costrette a sobbarcarsi in proprio il compito e i costi di essere una rete di protezione naturale e necessariamente sostitutiva del welfare universalistico di cui si sente sempre più bisogno: si assistono i figli giovani, che non trovano lavoro o lo hanno precario e mal pagato. Poi ci si occupa della cura dei figli dei nostri figli, perché posti negli asili nido ce ne sono pochi e se ci sono, spesso sono solo nelle strutture private che costano una fortuna. Infine, arrivati al momento del bisogno, i genitori diventati anziani da assistere devono per forza affidarsi, a loro volta, a qualcun altro, cioè alla brava e leale signora dell’Est, magari a digiuno di qualsiasi nozione infermieristica di base.
Non serve scomodare lo stato babysitter per immaginare che, invece, quella filiera del bisogno, che gli italiani risolvono con il fai da te, dovrebbe essere l’oggetto di un sistema di welfare efficiente, che non abbandona le famiglie a se stesse e che non lasci al mercato, cioè il luogo dove si fanno profitti e non socialità e assistenza, il compito di soddisfare bisogni primari.
Il dito delle badanti in nero e dei problemi delle famiglie che dovranno metterle in regola (forse) se ne hanno le possibilità ma che adesso temono di autodenunciarsi, indica la luna del più generale nodo dell’assistenza, del welfare, del modo di intendere l’assistenza, di essere società che promuove e tutela la persona.
Questa vicenda, che al di là delle valutazioni sull’atteggiamento nei confronti dei migranti mette anche a nudo il modo confusionale e spesso propagandistico con cui la politica italiana scrive le leggi e regola la convivenza, potrebbe quindi servire a rendere più consapevole l’opinione pubblica su un problema sociale il cui valore va ben al di là della sicurezza che si vorrebbe imporre a colpi di nuovi reati da scrivere nel codice penale e con la gestione con il pugno di ferro e i cavalli di frisia del fenomeno migratorio.
Si tratta di vedere se sapremo guardare alla luna, invece di fissarci solo sul dito.

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