mercoledì 17 febbraio 2010

MAZZETTE & MARCHETTE (il mio editoriale di oggi su La Tribuna di Treviso)


Pensavamo che Tangentopoli fosse stato il punto più basso toccato dalla storia repubblicana. Sbagliato: perché se quella era la repubblica della mazzetta, questa, che è la repubblica della mazzetta e della marchetta è persino peggio. A leggere le cronache di questi giorni e le descrizioni di certe intercettazioni telefoniche, più che con una classe dirigente sembra di avere a che fare con un congrega di arroganti detentori di un potere che consente di fare tutto e a proprio piacimento: lucrare sulle disgrazie, trasformare la responsabilità delle cariche in privilegio, la politica in un comitato di affari, la carica elettiva in una specie di satrapia ereditaria con il benefit delle escort giovani e di lusso, da consumare o offrire come favore.
Nel frattempo il Paese, costretto a questa esibizione di arroganza di regime, deve fare i conti, praticamente da solo, con la crisi economica che viene penosamente minimizzata mentre i dati reali indicano che il peggio non è tanto alle spalle quanto davanti a noi.
Manca, è evidente, la politica, perché troppo spesso alle proposte alternative una certa opposizione sembra starsene in attesa di qualche soluzione a mezzo di avviso di garanzia. E viene a mancare l’apporto fondamentale della tradizione moderata, con un Popolo della Libertà ridotto a cortile personale del premier e in cui sembra si voglia giocare una sfida sulla successione al capo che strizza l’occhio alla crisi istituzionale per dare la spallata che serve alla riorganizzazione post berlusconiana.
Questa crisi dello schieramento moderato non è un dettaglio da poco. Nel centrodestra, con il Pdl sempre più invischiato in scandali e scaldaletti e un premier troppo preso dai suoi fatti personali per occuparsi del governo, il direttore d’orchestra lo fa la Lega, con i suoi contenuti estremi, il suo populismo tirato alle estreme conseguenze, a cavallo tra prosopopea nordista in favore del sistema della piccola impresa e la neo- vocazione laburista. Il tutto condito con ricette banali, che non riescono ad andare oltre all’orizzonte delle solite cose sulla sicurezza, dei soliti allarmi sull’immigrazione, della solita demagogia del mal di pancia che indubbiamente porta voti ma non sposta di neppure un centimetro un Paese che ha bisogno di andare avanti e non di chiudersi in se stesso accontentandosi di far studiare il dialetto a scuola.
Ma quale politica del fare, è la politica delle parole, degli slogan. Dove è il federalismo se non inghiottito dai tempi biblici della sgangherata riforma Calderoli e dal buco nero dei 36 milioni in meno ai nostri Comuni, dopo ben tre governi in cui la Lega è stata presente solo per promettere a noi e mantenere invece agli spreconi di Catania e Roma? E quali sono i successi della politica sull’immigrazione, con le città che fioriscono di ghetti che sono un monumento al fallimento dell’integrazione? E dove sarebbe la ripresa economica, se solo in provincia di Treviso, in un anno, la cassa integrazione straordinaria è aumentata del 50 mila per cento, con i licenziati delle piccole imprese lasciati a campare con il sussidio di disoccupazione, gli atipici e gli autonomi abbandonati a se stessi, gli imprenditori strozzati da un sistema del credito che chiede come garanzia tre volte il valore degli affidamenti? Cosa ha combinato insomma questa classe di governo, oltre a procurare affari agli amici e rilassarsi con le donnine nei cosiddetti centri di messaggio?
Se a sinistra il modello riformista del Pd sembra inesorabilmente destinato a fallire, tanto che Massimo Cacciari parla provocatoriamente di tornare a Ds e Margherita, nel centrodestra il sogno liberale del 1994, la rivoluzione modernizzatrice, antistatalista e liberista, è altrettanto inesorabilmente sfumato. Il bisogno del Premier di blindarsi intorno ad un maggioranza che lo metta nelle condizioni di risolvere in Parlamento quello che non vuole, o non può, risolvere nelle aule giudiziarie, ha regalato agli estremisti del Carroccio enormi spazi di manovra. Il caso del Veneto, con il siluramento di Galan e l’imposizione del candidato leghista, sono i segni particolari di quello che oggi è il centrodestra italiano, sempre meno popolare e liberale e sempre più populista e autoritario. E di quello che è e sarà il centrodestra veneto, con la Lega al trentacinque per cento e la Pdl schiacciata sotto il venticinque, dieci punti che non sono solo una differenza matematica ma di sostanza. La moralità, il senso di responsabilità, la politica proiettata verso il bene comune e non al soddisfacimento dell’interesse particolare, o peggio personale, non esistono più in questa Italia, cialtrona e sgangherata.
Non c’è scampo se dalla società, come si diceva una volta, non salirà un visibile e concreto moto di disgusto per le escort offerte come regalo, la corruzione eletta a sistema, l’arroganza a prassi, le promesse vane a programma elettorale. Bisognerebbe che tutti si avesse un po’ più di coraggio nel riconoscere quello che ci troviamo davanti, smettendola di turarci il naso. La politica non cambierà mai se non sarà costretta a farlo. E lo farà solo se si troverà la scheda elettorale puntata alla tempia.

http://www.youtube.com/watch?v=XXqYkQj1QC4&feature=related

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