mercoledì 7 ottobre 2009

IL FORTINO DI CA' SUGANA. L'EDITORIALE DI OGGI DEL DIRETTORE DI TRIBUNA MOSER SULLE DELIBERE DI INIZIATIVA POPOLARE A TREVISO

Ciao, lettori. Come avrete letto sui giornali (poco, a dire il vero), la nostra iniziativa per introdurre le delibere di iniziativa popolare anche a Treviso è fallita, sotto i colpi della mannaia di regime di lega e Pdl.

Posto, sulla vicenda, il bell'editoriale scritto dal direttore di Tribuna di Treviso, Sandro Moser, e pubblicato quest'oggi.



Non disturbare il manovratore. Da anni è questa - o meglio, vorrebbe essere questa - l’aspirazione della maggioranza che governa Treviso. E bisogna dire che in questa partita la giunta Gobbo ha segnato un ottimo punto nell’ultima seduta del consiglio comunale, quando è stata bocciata la proposta di istituire anche a Treviso, come in tante altre città, la «delibera di iniziativa popolare» proposta da Paolo Camolei (come tutti sanno, un noto estremista). Un buon punto per la giunta Gobbo, una pessima cosa per Treviso e per i suoi cittadini. Con una «delibera di iniziativa popolare» un gruppo di cittadini - raccolto un certo numero di firme - può mettere a fuoco un proporre una soluzione e chiedere che il consiglio comunale, in tempi ragionevoli, ne discuta e decida in proposito. Può essere un sì, può essere un no. Ma una risposta, a quei cittadini, deve arrivare e tutto avviene in modo trasparente.
Perchè la bocciatura della proposta di Camolei è grave e ci chiama in causa tutti? Perchè la «delibera di iniziativa popolare» è uno strumento autentico di partecipazione democratica, di responsabilizzazione e di crescita civile.
In tutti i comuni italiani esiste un problema di partecipazione. Sindaco e giunta possono tutto e i consigli comunali sono sempre più spesso declassati al ruolo di notai, piuttosto che di vere assemblee in cui la discussione è libera e fattuale. Un problema reso più acuto, a Treviso, da anni e anni di monocolore leghista e dalla sua concezione autoritaria del governo. L’ingresso in maggioranza del Pdl avrebbe potuto dare un po’ d’aria a Palazzo dei Trecento. In molti se lo aspettavano, ma questo finora non è avvenuto.
In ogni caso lo spazio di discussione si è ridotto e una conseguenza non banale è stato il proliferare, spesso disordinato, dei comitati di protesta. Accettare l’istituzione della «delibera popolare» avrebbe potuto riequilibrare la dialettica sul merito dei problemi della città, incoraggiando la partecipazione dei cittadini. Ma Gobbo non l’ha voluto. A lui le cose stanno bene così.
Organizzare una protesta attorno a un istituto come la «delibera popolare» significa anche assumersi una responsabilità: i problemi vanno studiati, le soluzioni vanno meditate. Significa anche imporre responsabilità: come detto, giunta e consiglio comunale possono anche rispondere picche. Ma devono argomentare. A loro volta devono studiare e meditare. Diciamo che c’è meno spazio per ideologismi e strumentalizzazioni e più spazio per i ragionamenti di merito. Da entrambe la parti.
Studiare, meditare, assumersi la responsabilità di un atto concreto come una «delibera popolare» vuol dire anche crescere civilmente. Come? Razionalizzando la propria insofferenza, dando una forma compiuta alle proprie rivendicazioni, sforzandosi di individuare soluzione praticabili. Esattamente il contrario di quello che succede troppo spesso con i comitati di protesta che nascono e muoiono, appunto, nel fuoco effimero della protesta, che non sa diventare proposta perchè non ha gli strumenti per farlo. Ma anche qui è comprensibile che un manovratore - che non ama essere infastidito - preferisca le urla alle argomentazioni nero su bianco di una «delibera popolare». Alle urla si può rispondere con un’alzata di spalle: prima o dopo cessano per mancanza di fiato. A una «delibera popolare» bisogna rispondere.
Partecipazione democratica, responsabilità, crescita civile: a noi sembrano ottime cose. Alla giunta Gobbo invece no. E per sotterrare la proposta di Camolei, Ca ’Sugana si è messa d’impegno. Prima ostacolandone il viaggio verso il consiglio con un sacco di bizantinismi. Poi in commissione - e questo passaggio merita di essere raccontato - cercando di sterilizzarne la portata. Ad esempio proponendo con un emendamento di portare da 350 a 1.500 le firme necessarie per avviare una «delibera popolare». Solo per capire a Roma e Milano ne sono necessarie 5 mila. Oppure, altro esempio, limitando in modo drastico le materie trattabili. Modifiche, insomma, strumentali.
Dunque, la partita è chiusa? Forse, ma ci piacerebbe che - reso onore alla sconfitta di Camolei - tutta l’opposizione per una volta trovasse un punto di incontro e richiamasse Gobbo alla rivincita, ripresentando la proposta di dare anche a Treviso il diritto di presentare una «delibera di iniziativa popolare». E che insieme all’opposizione arrivasse a Ca’Sugana anche la voce di quei trevigiani che sono stufi di sentirsi esclusi dal Fortino Ca’Sugana.

lunedì 14 settembre 2009

A CHIANCIANO, UNA COSA GRANDE

Sono reduce dalla tre giorni di Chianciano, che io considero una grande speranza per la politica di questo paese. Perchè c'è il progetto di un nuovo soggetto politico non schizzofrenico, e anche per i contributi dati da Rutelli e da Fini.
Credo che la tradizione liberale e popolare di questo paese, davvero riformatrice e non populista, sia ad una proobabile svolta.
Penso che il paese sia stanco di questa poltichetta del consenso, giocata tra paure e mignotte. Ovviamente non tutti saranno d'accordo sulle soluzioni politiche del Centro, ma non credo che sia questo il punto.
E' invece condiviso il bisogno di una poltica capace di mettereci nelle condizioni di avere una alternanza compiuta, con due schieramenti che rispettano le medesime regole e condividono i medesimi principi di base dello stato. Poi sulle politiche, ovviamente e naturalmente, ci si divide. Oggi non è così, l'operato di Berlusconi e della Lega sfacia, non crea nulla.
La strategia di Casini credo sia un contributo, ed io, essendo moderato, sto da quella parte. Ma mi piacerebbe che il Pd si mettesse nelle medesime condizioni.
A Chianciano ho visto tanti giovani, ho assaporato speranze, ho ascoltato ragionevolezza. Insomma: alle armi, cittadini, alle armi!!!!

mercoledì 2 settembre 2009

IL RITORNO..ALLA BARBARIE

Dopo un po' di ferie (un po' tante, a dire il vero, ma diciamo che me le sono meritate)riprendo ad aggiornare anche il mio blog.

Riparto con una risposta ad un intervento, che ho letto lunedì 1 settembre su La Tribuna di Treviso, a firma dell'onorevole della lega Nord Dussin, sul caso Feltri-Boffo.

Di seguito pubblico lo scritto dell'on Dussin e il mio commento, pubblicato oggi sempre da La Tribuna di Treviso.


VAI FELTRI, FACCI SOGNARE

di Luciano Dussin *

È il fatto del giorno: Feltri contro Boffo. Personalmente ritengo che il direttore del quotidiano «Il Giornale» abbia dato prova di essere un grande. E’ entrato a gamba tesa in una disputa che ormai logorava i più.
Da una parte Berlusconi martirizzato, per essersi attorniato di qualche bella ragazza, da chi intendeva creare lo scandalo per negargli in futuro quella verginità nei comportamenti che è richiesta ai futuri presidenti della Repubblica.
I primi a gioire per il terreno minato ai piedi di Berlusconi, proprio per impedirgli i primi passi verso quella presidenza, sono stati senza dubbio buona parte dei magistrati: va ricordato che il presidente della Repubblica è anche presidente del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura).
C’é da chiedersi se alcuni magistrati vogliano evitare i ricordi e le intromissioni «subite» ai tempi del picconatore Cossiga?
Dall’altra, Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, quotidiano dei vescovi, che, assieme alla stampa comunista, da mesi attua quello che certa magistratura si aspetta, vale a dire il logoramento politico-morale di Berlusconi.
Feltri ha contrattaccato ricordando a Boffo i suoi trascorsi giudiziari legati anche ai suoi comportamenti sessuali, e al direttore della vera Unità, parliamo di «Repubblica», ha ricordato che chi fa il moralizzatore dovrebbe esimersi dall’effettuare pagamenti in nero come invece sembra aver fatto.
Allora, mi sento di ringraziare Feltri, perché mi ha fatto sognare. Mi si sono presentati due ipotetici presidenti della Repubblica. Uno avvezzo a frequentazioni femminili, l’altro logoro per aver speso l’intera sua gioventù nel proporci il modello comunista che tanto ha affamato il mondo negli anni, e mi sono chiesto quali dei due avrei preferito. Ho scelto il primo.
E, vista la contingenza degli avvenimenti, ho cominciato a respingere con disprezzo tutti quelli che in queste ore hanno attaccato Feltri, e quasi beatificato il Boffo.
Tra questi, si sono espressi esponenti della chiesa cattolica che, ahimè, dimenticano che, parole della stessa Chiesa, l’omosessualità sia contro la vita e atto contro natura. Hanno difeso Boffo perché direttore dell’Avvenire, punto e basta. Contenti loro...
Ovviamente la politica è intervenuta sulla questione, hanno parlato quelli che vanno a rimorchio delle notizie degli altri. Non poteva mancare Franceschini, d’altronde i suoi maggiorenti non mancano mai alle eleganti marce gay, quindi come avrebbe potuto esimersi dal condannare Feltri. Incomprensibili gli uomini del Pdl che si sono indignati per la mancanza di eleganza e di riservato equilibrio manifestata da Feltri per quello che ha scritto.
Personalmente ringrazio chi ha dato prova di uscire dalle nebbie del compromesso, dagli equilibri di comodo, dal ciarpame di che vive per lo più da stipendiato dallo Stato e che si affanna affinché il sistema non abbia mai a soffrire...
Di questa gente i cittadini ne hanno le tasche piene, quindi, benvenuto a chi ha ancora il coraggio di dire la verità insopprimibile da qualunque ipocrita consapevole di esserlo.
* Parlamentare della Lega


BOFFO E DUSSIN

SCIACALLAGGIO SESSUALE


di Paolo Camolei

A fare da sfondo ai colpi di artiglieria pesante, che le trincee della politica italiana si scambiano attraverso gli scandali mediatici e che hanno oramai sfondato la linea-limite del buon senso civile, c’è da qualche tempo il richiamo a ridurre il livello della cosiddetta barbarie.
È barbarie la pubblicazione delle foto compromettenti del Presidente del Consiglio, viatico alle voci sul suo stile di vita libertino? È barbarie la lista delle dieci domande di «Repubblica», oggetto ora di un azione giudiziaria in sede civile da parte del Premier? È barbarie lo sciacallaggio intimidatorio a cui viene sottoposto il direttore del quotidiano della Cei «Avvenire»?
Ognuno, e purtroppo temo non esercitando la propria intelligenza ma più spesso imbracciando una bandiera, potrà dare le sue rispettabili risposte.
Ma tutti concordando sul fatto che, comunque la si veda, i toni andrebbero non solo abbassati, ma ricondotti su binari più congeniali ad un paese moderno e civile.
Ma se a cominciare questa rincorsa non solo al decoro quanto al buon senso dovrebbe essere per prima la politica, l’intervento pubblicato su questo giornale a firma dell’Onorevole Luciano Dussin non mi pare un bel segnale. Sorvolo sui toni da tifoso, perché ciascuno, giustamente, è libero di esprimere le proprie idee e di farlo, nei limiti del rispetto, con i toni che più gli piacciono.
Ma ricondurre tutto all’alternativa fra il machismo da pacche sulla spalla del Premier, che si circonda di belle e giovani donne, e una supposta omossessualità è il segnale di un preoccupante clima in cui l’agone della politica si è trasformato in una arena per gladiatori, dove si comincia a combattere sapendo che Cesare, allo sconfitto, offrirà il pollice verso e quindi tutti i colpi valgono, fino all’annullamento totale dell’avversario.
Non entro sul fatto se aver scritto di un decreto penale a carico di Boffo sia stato, da parte del «Il Giornale», un atto conforme non tanto all’etica quanto alla pratica del mestiere di giornalista, il cui compito è quello di informare.
Ma resto francamente amareggiato nel leggere un intervento, quello dell’onorevole Dussin, in cui prevale il gusto di utilizzare come argomento «contro» comportamenti, peraltro solo supposti, non tanto di rilevanza penale ma di natura sessuale (e su quest’ultima cosa mettere l’accento), che atterrebbero alla sfera del privato e, nel caso di un credente, alla sfera personalissima del rapporto fra sé e i propri convincimenti morali.
Il punto non credo sia distinguere i cavilli della vicenda privata di Berlusconi e quella di Boffo: semmai serve un stigmatizzazione forte, autorevole e condivisa, del metodo dello sputtamento intimidatorio, verso chiunque e comunque, perché in questi casi il mal comune non fa un mezzo gaudio, né può più valere l’orrendo teorema per cui se tutti sono colpevoli, allora non c’è mai nessun colpevole.
Dietro alla vicenda del documento pubblicato da «il Giornale», come concordano molti osservatori, c’è poi il lato oscuro della sua provenienza e compilazione, un lessico incerto e persino un po’ oscuro che offre il fianco alla quella specialità italiana che è la dietrologia.
Essendo convinto che più che per le sue supposte scappatelle il Premier andrebbe giudicato per l’azione di governo, sono altrettanto e assolutamente certo che le posizioni dell’«Avvenire» e del suo direttore riguardo alla politica dell’esecutivo sui respingimenti e sulle vicende personali del Presidente del Consiglio meriterebbero semmai, da chi si sente in titolo di darne, risposte circostanziate e di merito.
Vincono invece la denigrazione, il tentativo di calunniare (peraltro di cattivo gusto se come offesa si utilizza un anche solo supposto orientamento sessuale) e l’intimidazione, che diventano il lessico popolare di una politica di breve respiro, che si accontenta di compiacere la pancia dei propri elettori, incapace di affrontare con efficacia le esigenze reali del Paese, e quindi, anche se così può anche non apparire, drammaticamente lontana dalla gente e dai suoi bisogni.