mercoledì 18 novembre 2009

LODO COSITUZIONALE E IMMUNITA' PARLAMENTARE, MENTRE LA CRISI SI DIVORA IL PAESE


Per uscire dal corto circuito giustizia-politica, e riparare i danni che questo scontro fra poteri sta causando ai cittadini italiani, si affacciano due soluzioni: una è il Lodo Alfano introdotto con una legge costituzionale, proposta fatta dal presidente dell’Udc Pierferdinando Casini; il secondo è entrato sulla bocca di tutti ma è stato reso esplicito in maniera interessante dal giudice Carlo Nordico, procuratore aggiunto a Venenzia, in una sua recente intervista e in un intervento pubblicato oggi su “Il Riformista”.
Entrambe mi sembrano soluzioni non corrette, in grado di ledere, il secondo più del primo, quella uguaglianza davanti alla legge che sta al fondamento del nostro ordinamento, configurando una “specialità” della politica così profonda da rendere il politico eletto sostanzialmente impermeabile all’azione di giustizia, e con il rischio di ripristinare meccanismi di casta.
Il Lodo Alfano in versione costituzionale punta ad uscire dalla fanghiglia del cosiddetto “processo breve”. La proposta di Casini vuole superare i dubbi che hanno portato alla bocciatura del primo Lodo da parte della Corte Costituzionale. Ma significherebbe iscrivere nella costituzione del nostro paese la regola dell’intangibilità delle alte cariche dello Stato non solo dai procedimenti che possono essere relativi a reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, ma da tutto quello che è perseguibile.
Domanda: falso in bilancio e corruzione sono fattispecie tali da rendere chi le ha commesse, se è una “alta carica dello Stato”, meritevole di una protezione così forte per la durata del suo ufficio?
La mia risposta è, per questi reati come per altri (il Lodo Alfano di fatto sana tutto), assolutamente no. Significherebbe far dire alla nostra costituzione che la legge è uguale per tutti ma ci sono alcuni che sono più uguali degli altri.
Alla responsabilità della carica, responsabilità che deriva dal fatto di avere un profilo personale e morale tale da meritarsela, si sostituirebbe il principio del “privilegio”, in un campo molto delicato come quello della giustizia.
Semmai, sarebbe da ipotizzare un meccanismo più articolato: immunità di principio per le alte cariche, giurì di nomina della Corte Costituzionale (o funzione esercitata dalla corte stessa) che valuti, in seduta dibattimentale pubblica, se il soggetto, rispetto alla fattispecie di reato di cui si parla, sia o meno meritevole delle specifica tutela in relazione all’assolvimento del suo ufficio.
Quanto all’immunità parlamentare, e al suo ripristino, ne ha parlato bene il giudice Nordio. Il procuratore aggiunto di Venezia ha definito il cosiddetto processo breve odioso “perche’ sottrae alla prescrizione alcuni tipi di reati, dall’immigrazione clandestina al furto di una bicicletta, che non sono certo più gravi della corruzione e del falso in bilancio”, definendone poi i connotati “funesti” perché si tratterebbe di una riforma “irrazionale”.
In una recente intervista, per dirsi favorevole alla reintroduzione dell’immunità parlamentare (anche come via d’uscita da soluzioni pasticciate come il processo breve), Nordio ha detto che “una metà scarsa degli italiani pensa che il presidente del Consiglio attacca i magistrati per sfuggire ai procedimenti che lo riguardano, una metà abbondante pensa che i magistrati lo vogliano processare per ragioni politiche, per riuscire a fare, nelle aule dei tribunali, quello che non si riesce invece a fare in cabina elettorale”. E ha aggiunto: “Possono essere vere entrambe, o nessuna delle due, il dato è che questi processi durano da 15 anni”. E si è detto favorevole all’immunità richiamando il principio, voluto dalla generazione politica da cui è nata la nostra Costituzione, per cui “la politica non deve essere aggredita da un altro potere dello stato”.
Al tempo in cui l’immunità parlamentare fu concepita si parlava ancora di democristiani, socialisti, comunisti e fascisti., Il clima politico era spesso esasperato, il rischio di un uso “di Stato” della giustizia contro gli oppositori ampiamente concreto.
Tutte cose che oggi non esistono più, semmai esiste il rischio di un controllo del potere esecutivo su quello giudiziario. Nordio sostiene, giustamente, che l’immunità esiste in altri Stati e che vale anche per i parlamentari europei. Verissimo. Il punto è che le deroghe giudiziarie della politica italiana, purtroppo molto frequenti, non si risolvono, di principio e di fatto, rendendo i parlamentari immuni dai processi per la durata della loro carica.
Il punto vero è che il nodo giustizia non riguarda il rapporto fra magistrati e politici, ma i cittadini, l’uguaglianza , la libertà e la difesa dei diritti. La questione giustizia non può risolversi con le scappatoie che il primo ministro deve trovare ai procedimenti che lo riguardano o il ripristino della condizione di privilegio “supra legem” dei parlamentari, ma i tempi del giudizio, che tolgono certezza del diritto, la responsabilità civile dei magistrati, la riforma di un sistema improntato all’obbligatorietà dell’azione penale, che porta i tribunali all’intasamento, salvo i miracolosi effetti condonatori della prescrizione.
Oggi invece la questione giustizia è affare privato del Premier e della casta degli eletti. Il Paese ha bisogno di essere condotto fuori dalla crisi, e invece rischia di infilarsi dentro alla crisi, di governo, magari proprio per la resa dei conti piediellina sui problemi giudiziari di Silvio Berlusconi.
Siamo un’Italia senza guida, un guscio di noce in mezzo al mare.

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