lunedì 18 maggio 2009

I NOSTRI (BASSI) STIPENDI

Non basta l’alto livello della tassazione a giustificare il fatto che lo stipendio italiano è il più povero tra quelli che vengono erogati nei paesi “avanzati”. Lo dimostra il fatto che in Germania e in Francia l’imposizione è più alta eppure si paga di più e quindi anche meglio.
Allo stesso modo, la produttività – intesa come parte della retribuzione – e la contrattazione collettiva (come cause ei bassi stipendi) sono solo foglie di fico.
La sostanza è che invece il lavoro italiano è, nella generalità dei casi, un lavoro “povero”. Un lavoro povero che tieni in piedi un sistema di piccole o piccolissime aziende, poco strutturate, poco capitalizzate, poco propense alla spesa per investimento perché a corto (consolo da ora) di liquidità. Il lavoro poco pagato è, purtroppo, un compromesso a cui si è costretti per avare un lavoro. Ma così non va bene.
Il problema per il lavoratore italiano non si ferma qui. Perché ad uno stipendio basso corrisponde poi un’alta imposizione indiretta: dobbiamo compartecipare alla spesa sanitaria, paghiamo bollette per i rifiuti astronomiche, paghiamo bollette sull’energia carissime, la telefonia è un investimento, le tasse universitarie sono folli. Ci toccano anche il bollo, le rette degli asili nido, le tasse scolastiche alle superiori, un caro vita offensivo del buon senso. E alcune spese mediche, come ad esempio quelle dentistiche, che sono del 15% superiori alla media Ue, senza contare che siamo un paese in cui nei fatti il dentista della mutua non esiste. O se esiste qualche volta è meglio evitarlo.
Tutto questo descrive una situazione deprimente. Paghiamo tasse molto alte ma riceviamo servizi pessimi, o quando va bene scadenti. E ne riceviamo sempre meno.
Lavoriamo tanto ma siamo pagati poco. E le famiglie non sono aiutate per nulla, visto che quanto ad assegni e sostegni economici stiamo in fondo alla classifica dell’Unione perché facciamo meglio solo di Portogallo e Grecia.
Dobbiamo stare molto attenti: il lavoro mal pagato è la maniera migliore per farci scappare le teste migliori. E oramai da tempo stiamo assistendo ad una ripresa dell’emigrazione, soprattutto da parte dei giovani con maggiore scolarizzazione e cultura, oltre che di maggiori competenze specifiche.
Ora: tutti, sulla notizia che oggi abbiamo trovato nei nostri giornali http://www.corriere.it/economia/09_maggio_17/salari_ocse_437b9714-42e1-11de-94da-00144f02aabc.shtml, fanno la corsa per darle un senso rispetto alla propria posizione politica, o sindacale. Alla fine della fiera, tra chi attacca, chi giustifica e chi minimizza (pochi spiegano) restiamo noi con il cerino acceso.
Se qualcuno chiedesse a me cosa farei io, posso solo rispondere sulla base della mia esperienza di imprenditore: io non strapago i miei dipendenti, ma credo di dare loro quanto è giusto ricevano per il lavoro e lo sforzo che fanno, e il contributo che danno alla sopravvivenza e al successo delle mie imprese. Non butto via i soldi, ma non faccio il tirchio. Né mi nascondo dietro alla parola flessibilità per cercare lavoro a buon mercato. Ovviamente loro vorrebbero di più, facendo i loro interessi. E io faccio i miei. Ma sono sicuro di una cosa: pagare male non è solo lesivo della dignità del lavoratore. E’ anche una offesa al suo tentativo di avere una esistenza che sia di più che semplicemente dignitosa. E pagare male è anche la maniera migliore per far lavorare male.
Ovvio che, per pagare bene, bisogna fare cose che siano remunerative.
Ecco il bivio a cui siamo: o migliorare e migliorarci, o continuare a fare economia di serie B. A pagare poco, a far vivere male. Se poi lo Stato, di suo, ci mette tasse alte e nessun servizio in cambio, il circolo vizioso è bello che chiuso. E il Paese va in crisi di suo, senza bisogno del crollo delle borse.

Nessun commento:

Posta un commento