Ciao, lettori. Come avrete letto sui giornali (poco, a dire il vero), la nostra iniziativa per introdurre le delibere di iniziativa popolare anche a Treviso è fallita, sotto i colpi della mannaia di regime di lega e Pdl.
Posto, sulla vicenda, il bell'editoriale scritto dal direttore di Tribuna di Treviso, Sandro Moser, e pubblicato quest'oggi.
Non disturbare il manovratore. Da anni è questa - o meglio, vorrebbe essere questa - l’aspirazione della maggioranza che governa Treviso. E bisogna dire che in questa partita la giunta Gobbo ha segnato un ottimo punto nell’ultima seduta del consiglio comunale, quando è stata bocciata la proposta di istituire anche a Treviso, come in tante altre città, la «delibera di iniziativa popolare» proposta da Paolo Camolei (come tutti sanno, un noto estremista). Un buon punto per la giunta Gobbo, una pessima cosa per Treviso e per i suoi cittadini. Con una «delibera di iniziativa popolare» un gruppo di cittadini - raccolto un certo numero di firme - può mettere a fuoco un proporre una soluzione e chiedere che il consiglio comunale, in tempi ragionevoli, ne discuta e decida in proposito. Può essere un sì, può essere un no. Ma una risposta, a quei cittadini, deve arrivare e tutto avviene in modo trasparente.
Perchè la bocciatura della proposta di Camolei è grave e ci chiama in causa tutti? Perchè la «delibera di iniziativa popolare» è uno strumento autentico di partecipazione democratica, di responsabilizzazione e di crescita civile.
In tutti i comuni italiani esiste un problema di partecipazione. Sindaco e giunta possono tutto e i consigli comunali sono sempre più spesso declassati al ruolo di notai, piuttosto che di vere assemblee in cui la discussione è libera e fattuale. Un problema reso più acuto, a Treviso, da anni e anni di monocolore leghista e dalla sua concezione autoritaria del governo. L’ingresso in maggioranza del Pdl avrebbe potuto dare un po’ d’aria a Palazzo dei Trecento. In molti se lo aspettavano, ma questo finora non è avvenuto.
In ogni caso lo spazio di discussione si è ridotto e una conseguenza non banale è stato il proliferare, spesso disordinato, dei comitati di protesta. Accettare l’istituzione della «delibera popolare» avrebbe potuto riequilibrare la dialettica sul merito dei problemi della città, incoraggiando la partecipazione dei cittadini. Ma Gobbo non l’ha voluto. A lui le cose stanno bene così.
Organizzare una protesta attorno a un istituto come la «delibera popolare» significa anche assumersi una responsabilità: i problemi vanno studiati, le soluzioni vanno meditate. Significa anche imporre responsabilità: come detto, giunta e consiglio comunale possono anche rispondere picche. Ma devono argomentare. A loro volta devono studiare e meditare. Diciamo che c’è meno spazio per ideologismi e strumentalizzazioni e più spazio per i ragionamenti di merito. Da entrambe la parti.
Studiare, meditare, assumersi la responsabilità di un atto concreto come una «delibera popolare» vuol dire anche crescere civilmente. Come? Razionalizzando la propria insofferenza, dando una forma compiuta alle proprie rivendicazioni, sforzandosi di individuare soluzione praticabili. Esattamente il contrario di quello che succede troppo spesso con i comitati di protesta che nascono e muoiono, appunto, nel fuoco effimero della protesta, che non sa diventare proposta perchè non ha gli strumenti per farlo. Ma anche qui è comprensibile che un manovratore - che non ama essere infastidito - preferisca le urla alle argomentazioni nero su bianco di una «delibera popolare». Alle urla si può rispondere con un’alzata di spalle: prima o dopo cessano per mancanza di fiato. A una «delibera popolare» bisogna rispondere.
Partecipazione democratica, responsabilità, crescita civile: a noi sembrano ottime cose. Alla giunta Gobbo invece no. E per sotterrare la proposta di Camolei, Ca ’Sugana si è messa d’impegno. Prima ostacolandone il viaggio verso il consiglio con un sacco di bizantinismi. Poi in commissione - e questo passaggio merita di essere raccontato - cercando di sterilizzarne la portata. Ad esempio proponendo con un emendamento di portare da 350 a 1.500 le firme necessarie per avviare una «delibera popolare». Solo per capire a Roma e Milano ne sono necessarie 5 mila. Oppure, altro esempio, limitando in modo drastico le materie trattabili. Modifiche, insomma, strumentali.
Dunque, la partita è chiusa? Forse, ma ci piacerebbe che - reso onore alla sconfitta di Camolei - tutta l’opposizione per una volta trovasse un punto di incontro e richiamasse Gobbo alla rivincita, ripresentando la proposta di dare anche a Treviso il diritto di presentare una «delibera di iniziativa popolare». E che insieme all’opposizione arrivasse a Ca’Sugana anche la voce di quei trevigiani che sono stufi di sentirsi esclusi dal Fortino Ca’Sugana.
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