lunedì 30 novembre 2009
LA PERESTROIKA NEL CENTRODESTRA
La distanza di Silvio Berlusconi dalla mafia si deve misurare sulla fiducia e sul consenso che gli resta (che è ancora alto) che sui fatti.
Si legge nell’Apocalisse (20, 12-14)che si verrà giudicati per le proprie opere. Aver mantenuto a libro paga uno stalliere casualmente affiliato (e che affiliazione) alla mafia che opera è?
Rimane, ovviamente, la buona fede. Quindi per questo inciampo Berlusconi, che era in buona fede, non verrà giudicato male. Resta ora ai giudici definire se sono vere le rivelazioni dei pentiti e quelle sconvolgenti notizie sulla responsabilità del capo della Pdl per le stragi che insanguinarono il nostro paese ad inizio degli anni ottanta.
E per fortuna che la procura di Firenze ha smentito i giornali (non quelli di sinistra, ma quelli del presidente del Consiglio) riguardo al possibile status di indagato suo e di dell’Utri.
Parto da questo, ultima sciagura mediatica del Silvio nazionale, per spiegare come, secondo me, le vicende personali e il modo di governare siano oggi strettamente legate, malgrado la distrazione del cosiddetto “popolo”.
C’è da chiedersi a chi importa del fatto che Berlusconi abbia o meno avuto rapporti/contatti con la mafia, tanto quanto mi chiedo a chi interessi che Brerlusconi abbia o meno corrotto, non pagato le tasse, imbrogliato le carte a proprio beneficio, pagato politici, piegato le leggi in favore delle sue aziende.
Verrebbe da dire pochi (gli interessati) visto che il consenso rimaner alto, cosa di cui si deve prendere nota.
Ora: io non auspico un colpo di magistratura. Spero sinceramente che Berlusconi sia, in effetti, innocente. Questo non vuol dire che mi iscrivo al partito di quelli che vorrebbero usare il lanciafiamme contro i giudici (il lanciafiamme è una citazione di tal Cesare Previti) anche se credo che i poteri dello Stato, oggi terribilmente in conflitto, debbano ritrovare – tutti - equilibrio e misura.
Semplicemente vorrei risparmiarmi la vergogna di aver avuto un capo del governo con la fedina penale potenzialmente lunga come i rotoloni regina.
Resta il fatto che Silvio Berlusconi fa poco o nulla per gettare trasparenze intorno alle sue vicende giudiziarie: e il modo di fare di questo governo, tutto proiettato a salvare il suo capo, a costo di funambolici equilibrismi e a tutto beneficio delle pretese della lega, sta penalizzando un paese che avrebbe bisogno di un esecutivo che pensi ai problemi della gente, non a quelli di un tycoon primo ministro assediato dalle procure (so che l’idea di Berlusconi che pensa per sé e non a noi riprende lo slogan dei manifesti del Pd: scusatemi, non volevo).
La questione non è se funziona meglio la destra o la sinistra: le pene di Berlusconi non bastano a legittimare il Pd come forza di governo capace, né i successi del Premier nelle aule giudiziarie (magari a colpi di prescrizione) non fanno necessariamente del bene alla destra costituzionale italiana, liberale e riformatrice, che rimane drammaticamente orfana o quasi di veri interpreti.
Ecco perché ho recentemente usato il termine “perestroika” per il centrodestra italiano: serve spaccare il regime, rimettere in piedi uno schieramento moderato “dal volto pubblico” e non solo con “pruriti privati”.
In un mio stato di Facebook, in cui parlavo di perestroika del centro destra, l’amico Nicola Marasciulo (amico di facebook) mi scrive che prima dovrebbe cadere Breznev, intuisco parli di Berlusconi. Sbagliato: non deve cadere il despota, deve sollevarsi il popolo moderato, chiamato a scrollarsi di dosso il peso oramai gravosissimo degli infiniti conflitti di interesse. L’amico (in carne e ossa) Arthur Carponi Schittar scrive invece che “devono cadere troppi muri perché succeda”. Beh: i muri non cadono da soli. Mano ai picconi, amici liberali: un altro moderatismo è possibile!
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